Domani la manifestazione del Partito democratico

Vado al Massimo

Salvatore Merlo

Il Pd temeva davvero di poter subire domani lo scippo dipietrista della piazza democratica. “Antonio Di Pietro avrà i suoi spazi, ma la manifestazione è del Pd”. Quando il plenipotenziario veltroniano, Goffredo Bettini, dice così, è perché al loft da qualche settimana si è avuta sensazione che le chiavi delle manette le detenga Di Pietro.

    Il Pd temeva davvero di poter subire domani lo scippo dipietrista della piazza democratica. “Antonio Di Pietro avrà i suoi spazi, ma la manifestazione è del Pd”. Quando il plenipotenziario veltroniano, Goffredo Bettini, dice così, è perché al loft da qualche settimana si è avuta sensazione che le chiavi delle manette le detenga Di Pietro, e che una piazza contro il lodo Alfano e il conflitto d'interessi avrebbe finito con il rivoltarsi contro i suoi stessi promotori e diventare la grande celebrazione dell'ex pm. Lo ha spiegato bene al Foglio, poco tempo fa, Roberto Rao, il deputato dell'Udc più vicino a Casini che in Vigilanza ha seguito l'altalena di (mal)umori che da mesi caratterizza i rapporti tra Pd e Idv. Ricordando l'accoglienza esultante della base democratica a Di Pietro nei giorni della festa di Firenze, Rao fa una semplice constatazione: “Quella piazza rischia di sfuggire dalle mani del Pd. E se capita, che si fa? Di Pietro diventa il leader morale del centrosinistra”.

    I democratici, veltroniani e dalemiani per una volta insieme, lo hanno capito e sono corsi ai ripari. “Urge riformulare la piattaforma della manifestazione – si è detto in più di una riunione al Nazzareno – ma senza clamore”. Così sono partiti per primi alcuni veltroniani liberi, come Enrico Morando, che il 10 ottobre intervistato dal Giornale diceva: “La manifestazione del 25 ottobre non sarà antigovernativa”. D'altra parte, all'interno, solo Arturo Parisi, sempre più avvelenato contro il proprio segretario, ha abbracciato Di Pietro per colpire Walter Veltroni. Al contrario, il Pd, per un po', si è ricompattato nelle dichiarazioni pubbliche. Alla fine martedì scorso, a completare solennemente l'opera ci ha pensato Veltroni in persona rompendo in televisione con l'Idv, accompagnato e sostenuto, per una volta sul serio, anche da Massimo D'Alema (“Di Pietro deve cambiare atteggiamento”).

    Nel frattempo è arrivata in soccorso la protesta della scuola, e il Pd, senza troppe scosse, ha tirato il fiato per rimodellare toni e contenuti. Mercoledì scorso a Veltroni è (inconsapevolmente?) venuto in aiuto persino il Cav. con le dure dichiarazioni contro le occupazioni scolastiche. Così, mentre in Parlamento riprende un lumicino di dialogo sul primo e più sofferto dei dossier, quello sulla Vigilanza Rai, e mentre Gianfranco Fini si fa promotore di un nuovo CaW precipitato nell'elezione di Giuseppe Frigo alla Consulta, si prepara “una piazza che ha come primo obiettivo – dice Bettini – la disponibilità ad assumerci nei confronti del governo ogni responsabilità sui provvedimenti che siano di buon senso”. E quasi la piazza del Pd sembra fatta più per arginare la piena giustizialista che per contestare Silvio Berlusconi, con il quale piuttosto – pubbliche asperità verbali escluse – si dialoga di riforma elettorale europea, federalismo, giustizia e Rai. L'accordo appare vicino e il dipietrista Leoluca Orlando sempre più lontano dalla presidenza della Vigilanza. Ma Di Pietro che fa? “Siamo incazzati neri”, chiosa Massimo Donadi, capogruppo alla Camera.

    L'ex pm fa circolare la voce – per poi smentirla – di voler rompere anche lui e definitivamente con Veltroni: “Il Pd – avrebbe detto – è come il Pdl”. Ma sembra un altro dei suoi azzardi. Tonino è un Calandrino della manovra politica. Perché nei fatti sembra aver piuttosto siglato una tregua con Veltroni. L'ex pm l'altra sera non è andato ospite a Ballarò, forse proprio per evitare un attacco al segretario democratico. E neppure rilascia dichiarazioni. Nel Palazzo circola così una leggenda: Di Pietro ha deciso di inghiottire il rospo e concede l'onore della piazza a Veltroni; avrebbe persino accettato il siluramento di Orlando (per il quale, tra l'altro, prova una sincera antipatia).

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.