Un compromesso possibile

Ecco i punti negoziabili della riforma giudiziaria offerta alle toghe e al Pd

Salvatore Merlo

La riforma della giustizia si fa senza esitazioni e si fa come il ministro Alfano ha spiegato martedì al Foglio: “Con determinazione. Dialogando sì, ma decidendo alla fine”. Il Guardasigilli ha già individuato tempi e priorità di un progetto che, tuttavia, è ancora da discutere e da cesellare.

    Roma. La riforma della giustizia si fa senza esitazioni e si fa come il ministro Alfano ha spiegato martedì al Foglio: “Con determinazione. Dialogando sì, ma decidendo alla fine”. Il Guardasigilli ha già individuato tempi e priorità di un progetto che, tuttavia, è ancora da discutere e da cesellare. Un po' lo ha spiegato lui stesso, un po' lo racconta chi lo conosce bene: nel disegno di Alfano prima viene la riforma del processo civile e penale, solo dopo vengono gli interventi costituzionali. Tra questi la priorità assoluta è data alla revisione del principio di obbligatorietà dell'azione penale (punto su cui però nel Pdl non c'è identità di vedute), poi alla riforma del Csm con l'introduzione di un secondo Consiglio, e solo in seconda battuta l'eventuale separazione delle carriere. Ovvero il confine che i magistrati considerano davvero invalicabile. Il Pd ha fatto sfoggio di buone intenzioni, come pure l'Associazione nazionale magistrati ha dichiarato di non essere affatto “arroccata” su posizioni conservatrici. Apertura è la parola d'ordine, purché “non si tocchino l'assetto della magistratura e le garanzie costituzionali”. Non poco.

    Ma ieri il segretario dell'Anm, Giuseppe Cascini, intervenuto al seminario sulla giustizia organizzato dall'Udc, ha usato parole che lo stesso Niccolò Ghedini, consigliere giuridico del Cav. e antigiustizialista convinto, ha dovuto definire “dialoganti”. A molti osservatori le aperture, tanto del Pd quanto dell'Anm, appaiono meramente strategiche. Rivolte cioè a negare di fronte all'opinione pubblica l'immagine di una casta schierata nella difesa dei propri privilegi (le toghe), e rivolte a smarcarsi dall'intransigenza dipietrista nel caso del Pd. Ma quali sono i punti della riforma che la maggioranza è disposta a negoziare con Pd e Anm, e quali le stelle fisse nella dottrina Berlusconi IV? Niccolò Ghedini spiega al Foglio che la maggioranza ce la metterà tutta per ottenere una riforma complessiva del sistema giudiziario, ma dice anche che “nell'infausta eventualità in cui non dovessimo farcela, col Pd potremmo raggiungere il compromesso di tornare alla riforma Castelli. Una buona riforma”. Ovvero niente separazione delle carriere ma rafforzamento della distinzione tra pm e giudici e una serie di norme indirizzate a ridurre il peso delle correnti all'interno del Csm. E' questo il compromesso possibile.

    L'opposizione non può che dialogare. La maggioranza forse non è disposta a forzare la mano di fronte alla possibile intransigenza del Pd e delle toghe? “Il governo ha i numeri per fare ciò che vuole – spiega Ghedini – ma persegue una politica ragionevole. Non c'è niente di meglio d'una riforma condivisa. Certo è che se l'opposizione si dimostrasse così rigida da negare il dialogo allora faremmo tutto da soli. Vorrei ricordare che perseguiamo politiche talmente popolari che se l'opposizione proponesse un referendum abrogativo contro i nostri interventi questo sarebbe bocciato dai cittadini. Con l'effetto di un suicidio politico per il Pd. Non possono che dialogare e noi d'altro canto siamo flessibili”. Ci sono, tuttavia, alcuni principi non negoziabili. “Le stelle polari del governo sono la riforma del processo civile, la certezza della pena nel processo penale e l'applicazione dell'articolo 111 con le massime garanzie per il cittadino. Il che significa, se possibile, anche separazione delle carriere”. Se possibile – dice Ghedini – “perché la politica è appunto ‘l'arte del possibile'. E dunque, sebbene una riforma completa sarebbe più consona, si potrebbe anche finire con l'accontentarsi di un buon compromesso”.

    Che è la riforma Castelli, come in sostanza dice anche Gaetano Pecorella. “Di fronte a noi abbiamo un massimo, un minimo e un punto di intesa ragionevole con il Pd – dice l'onorevole e avvocato – Il massimo sarebbe la separazione radicale delle carriere e la revisione del Csm. Il minimo è lo sfasciume attuale. Il compromesso possibile è invece un accordo che preveda sia le riforme ordinarie sul processo civile e penale (ipotesi assolutamente realistica) sia un ritorno al progetto Castelli. Un complesso di norme che, non potendo separare le carriere e riformare la composizione del Consiglio, consentono tuttavia di ridurre il peso delle correnti”. Ma Pecorella intravede un rischio: “Le riforme ordinarie – spiega – vanno sostenute da modifiche costituzionali, altrimenti l'intero processo potrebbe finire con una bocciatura della Consulta. Un esempio? Tra l'abolizione dell'obbligatorietà dell'azione penale e la separazione delle carriere c'è un vincolo logico, l'una senza l'altra non funziona e la Consulta lo sanzionerebbe. Anche tra noi, nel Pdl, dovremmo avere chiaro questo fatto. Aspettiamo di capire la posizione del Pd, certo è che se rimane schiacciato sulla conservazione predicata dall'Anm allora è la fine”.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.