Così McCain in prigione si improvvisò ministro del culto

“Sotto tortura, John chiedeva a Dio di renderlo un uomo migliore”

Giulio Meotti

Per capire John McCain, bisogna parlare con il colonnello Bud Day, l'uomo più decorato d'America dopo il generale MacArthur.

    Dal Foglio del 15 maggio 2008

    Per capire John McCain, bisogna parlare con il colonnello Bud Day, l'uomo più decorato d'America dopo il generale MacArthur. E' grazie a lui se il candidato repubblicano è uscito dalla dimensione mitica e disincarnata dell'Eroe prigioniero e torturato in Vietnam. Bud è l'uomo che chiede a McCain di raccontare raccontare raccontare per convincere l'America della propria moral clarity. Al centro della splendida biografia di Robert Coram “American Patriot”, Bud Day per la prima volta ha raccontato su Fox news la detenzione nella cella vietcong di Hanoi. La storia del lupo solitario candidato dei repubblicani inizia la mattina del 26 ottobre 1967 quando la contraerea abbatte il suo caccia che sorvola il Vietnam settentrionale. E' anche la storia delle centinaia di migliaia di americani partiti nei campi di battaglia. Figlio e nipote di ammiragli, McCain rimase per cinque anni nelle mani dei torturatori rossi, finché nel 1973 fu rilasciato e rientrò negli Stati Uniti. I comunisti gli disarticolarono le spalle con il supplizio della corda e gli misero davanti un pezzo di carta, “confessa i tuoi crimini di guerra e sei libero”. Lui rifiuta per cinque anni e mezzo, finché, con la mano tremante, firma. Non se lo è mai perdonato. “Dovevo resistere più a lungo”. 
    E' parlando con Bud Day che Karl Rove dice di aver capito che “McCain è uno degli individui più riservati che si sia mai candidato alla presidenza degli Stati Uniti”. Non ha mai fatto del proprio passato all'Hotel Hanoi un vanto pubblico né una cifra di superiorità. McCain infatti non ha mai veramente raccontato quanto accadde nelle segrete comuniste. E' stato l'amico di prigionia a farlo. Come quando i guerriglieri vietcong ripresero Day dopo essere fuggito di prigione. Gli ruppero un braccio e dissero: “Te l'avevamo detto che ti avremmo ridotto a uno storpio”. I vietnamiti sistemarono l'osso rotto in modo che uscisse dal braccio e che, una volta guarito, Bud Day non potesse più muoversi normalmente. McCain raccolse pezzi di bambù nel cortile della prigione per steccare il braccio rotto. Poi fece stendere l'amico sul pavimento della cella e, tenendolo fermo con un piede, rimise l'osso al suo posto. Usando la fasciatura delle sua stessa gamba ferita e i pezzi di bambù, immobilizzò il braccio di Day.

    “Parlava come un vero predicatore”
    La vicenda più incredibile è il ruolo di cappellano ricoperto da McCain con i suoi compagni di prigionia. Dopo essere stato trasferito di prigione in prigione, McCain si trovò ad essere l'ufficiale più anziano all'interno dell'“Hanoi Hilton”, come lo chiama spesso ridendo. Così toccò a lui amministrare i servizi religiosi per gli altri.  “Ricordava bene la liturgia episcopale” racconta Day, “parlava come un vero predicatore”. Uno dei suoi primi sermoni si ispirò ai vangeli Luca 20,23 e Matteo 22,21: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. McCain sosteneva che non si dovesse chiedere a Dio di liberarli dalla prigionia, ma di aiutarli a diventare persone migliori in quel terribile momento.  I vietnamiti gli legavano la testa tra le caviglie e le braccia dietro la schiena, lasciandolo così per ore. La tortura ha così fortemente slogato le spalle che ancora oggi McCain non può sollevare le braccia sopra la testa. Da qui la sua buffa postura.
    McCain e Bud Day dovevano subire le “lezioni di materialismo” degli aguzzini comunisti, come si usava anche nei campi di Pol Pot. Il giorno di Natale, una guardia che era accanto a McCain tracciò una croce nella sabbia per poi cancellarla subito. McCain disse che quando tornò per la prima volta in Vietnam dopo la guerra, l'unica persona che avrebbe voluto incontrare era quella guardia. Bud Day ricorda che John McCain rifiutò ogni trattamento di favore che gli venisse offerto, sapeva che i vietnamiti volevano sbandierare la vittoria propagandistica del figlio e nipote di ufficiali della Marina convinto ad accettare favori dal nemico.
    Ha scritto il columnist Bill Kristol che “McCain è neo-vittoriano: inflessibile, orgoglioso, moraleggiante, ma (e magari proprio per questo) un uomo coraggioso, che crede nei principi. Forse una dose di questo spirito neovittoriano è proprio quello che ci vuole nel Ventunesimo secolo”. L'incredibile e inedito racconto del colonnello Bud Day svela il passato sorgivo del lupo che ha sempre arretrato di fronte alla facile pubblicità. Anche per questo forse, a differenza di tanti altri reduci di guerra, John McCain è riuscito a rimanere l'eroe di un tempo.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.