Fate un vero partito democratico, sennò ridateci i comunisti

Giuliano Ferrara

Qui Quo Qua alla corte di Re Obama. A me fanno simpatia. Veltroni, Rutelli, Fassino:  una settimana a Denver, Colorado. Normali relazioni internazionali del più grande partito dell'opposizione italiana. Visita di cortesia alla star democratica mondiale che cerca di diventare presidente degli Stati Uniti. Forse qualcosa di più.

    Qui Quo Qua alla corte di Re Obama. A me fanno simpatia. Veltroni, Rutelli, Fassino:  una settimana a Denver, Colorado. Normali relazioni internazionali del più grande partito dell'opposizione italiana. Visita di cortesia alla star democratica mondiale che cerca di diventare presidente degli Stati Uniti. Forse qualcosa di più: curiosità per l'identità del Partito democratico omonimo, quello originale, al quale hanno in un certo senso ispirato la nascita del loro Partito democratico, decretando che anche la sinistra di provenienza comunista e cattolica doveva modernizzarsi e tagliare certe sue radici ideologiche, trovando un nuovo modo di essere, in un paese americanizzato a modo suo da Berlusconi e in una Repubblica travolta da magistrati, leggi elettorali maggioritarie, nuovi costumi e scostumatezze civili e incivili. I tre hanno tutto per essere considerati, ciascuno a diverso titolo, politici moderni, all'americana. Apprezzano la centralità in politica della comunicazione, tv, uffici stampa, eventi ed effetti speciali, innovazione nelle forme, racconto di sé, leadership personale, mescolanza di privato e pubblico. Uno sa come si porta un ombrellone in spiaggia, l'altro bacia la mano al Papa che è una meraviglia, il terzo ha studiato dai gesuiti e abbraccia la tata in favore di telecamere, tutti credono nella politica di staff, nel rapporto diretto con gli elettori, nella necessità di avere e saper spendere ingenti risorse per l'insieme delle attività, e per il “rendering” dei grandi comizi, delle scenografie e coreografie populiste-democratiche. Veltroni nella recente campagna elettorale ha spudoratamente imitato la grafica, gli slogan e lo “stile” di un candidato alla presidenza degli Stati Uniti, ha trottato come Obama, sognato come Obama, inalberato gli stessi cartelloni e cappellini, coniato in traduzione più o meno vernacolare gli stessi slogan. Il fatto che abbia perso non lo condanna, i lettori di questo giornale sanno che non siamo né maramaldi né così stupidi da pensare che le idee vivano e muoiano con i risultati delle ultime elezioni. Ma per Qui Quo Qua alla corte di Re Obama è ora di considerare la sostanza, oltre la forma. Il loro progetto democratico all'americana, nel segno del superamento delle correnti socialiste o comuniste o democratico-cristiane della storia italiana, è fallito in partenza se non realizzi una radicale riforma del modo di essere della politica e delle istituzioni in Italia. Tutto quello che riguarda l'identità e la vita del partito che vedranno riunito a Denver, tutto, dalla corruzione alla politica estera tradizionalmente aggressiva, dal welfare alla macchina del voto di scambio, dalla convergenza finale con la battaglia antisegregazionista alla vicinanza lobbystica con i Bill Gates e i George Soros e i Warren Buffet, tutto, ma proprio tutto, e prima di tutto quel formidabile strumento che sono la retorica e la grande oratoria politica, tutto dipende dalla premessa del patriottismo americano, del patriottismo costituzionale, e dal senso generale che a questo patriottismo dà la parola, la pratica della libertà (in economia, nel costume, nella cultura, nella vita pubblica e privata).  L'andazzo sostanziale, per il Partito democratico, è ridiventato quello di una bella politica tradizionale, nel quadro di una Repubblica dei partiti all'italiana. Niente di condannabile in sé, ma l'agonismo politico dei democratici e dei repubblicani americani esprime appunto un'altra sostanza, a parte le forme. “We can” vuol dire noi, e noi vuol sempre dire noi americani, noi cittadini, noi popolo, non noi membri del partito. Veltroni e i suoi devono cercare un'idea di questo paese, della sua storia, del suo genio particolare, e farne qualcosa di molto simile a una religione civile, a una politica per credenti, in un sistema istituzionale costruito sui bilanciamenti e sull'esercizio forte dell'autorità in un quadro di libertà fortissima. Non è un'impresa facile, trovare un Dio buono per la politica, per il popolo e per le classi dirigenti, in un principato ecclesiastico cinico e sapiente come è l'Italia. Ma un partito democratico ha senso soltanto se ci si prova. Sennò ridateci i socialisti, i democristiani e, se proprio necessario, pure i comunisti.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.