Brevi saggi più o meno concupiscenti/8

In fuga dal giardino delle delizie

Edoardo Camurri

La concupiscenza mi fa venire in mente qualcosa di brutto. L'altro giorno, mentre mi stavo appisolando in una spiaggia di Fregene, ho ascoltato il seguente dialogo. “Me rode er c**o”. “Te rode er c**o eh?”. “Ma me rode me rode”. “Eh, te credo che te rode, quella nun te l'ha data”. “Nun sai quanto me rode er c**o”.

Leggi Riparliamo di concupiscenza di Giuliano Ferrara

    La concupiscenza mi fa venire in mente qualcosa di brutto. L'altro giorno, mentre mi stavo appisolando in una spiaggia di Fregene, ho ascoltato il seguente dialogo. “Me rode er c**o”. “Te rode er c**o eh?”. “Ma me rode me rode”. “Eh, te credo che te rode, quella nun te l'ha data”. “Nun sai quanto me rode er c**o”. “Me roderebbe pure a me, er c**o, se nun me la dava, la zoc**la”. Il resto della conversazione è inutile riportarlo. Come avrete già capito si tratta della ripetizione pura e semplice della struttura a canone delle Variazioni Goldberg: il contrappunto “Me rode er c**o” ritorna sempre, circolarmente, all'interno di queste considerazioni balneari sulla fornicazione (ma senza uno sviluppo retrogrado, che Bach ci avrebbe invece senz'altro regalato, del tipo: “Oluc re edor em”).

    Dicevo, la concupiscenza mi fa venire in mente qualcosa di brutto. Circa un mese fa, la stampa riportava la seguente notizia: “Foreste del Borneo centrale (…). Una femmina di orangutan (…), tutta depilata, lavata e profumata, le labbra tinte di rosso, legata a un letto e messa a disposizione dei clienti. Fuori gli uomini facevano la fila”. E' qualcosa che richiama, volendo buttarla in letteratura, quanto scriveva Paul Valéry nei suoi “Cattivi pensieri” (Adelphi): “La grande scimmia colombiana, quando vede l'uomo, fa subito i suoi escrementi e glieli getta a piene mani, il che prova: 1. che è veramente simile all'uomo; 2. che lo giudica rettamente. M. de Loys risponde a questi lanci di feci con dei colpi di fucile. La grande scimmia femmina cade. (Il maschio scappa). L'uomo sapiens la solleva, la osserva e misura il clitoride di straordinaria lunghezza, raddrizza il cadavere e gli fa una bella fotografia”.

    Tutto è abiezione. E la concupiscenza è ovunque. Non solo a Fregene, nel Borneo o in viale Mazzini 14 ma anche dove uno meno se l'aspetta, per esempio a Torino (anche perché, con rispetto parlando, Fregene, viale Mazzini e le foreste del Borneo, in un'ipotetica classifica mondiale della buona creanza, si posizionerebbero in quella che solitamente sarebbe la zona retrocessione). Se volete posso essere ancora più circostanziato. Era la notte del 31 dicembre del 2005 e mi trovavo in un appartamento mediamente borghese di Torino (arredato in stile chippendale) a festeggiare il capodanno con degli amici. Niente di strano. Ho degli amici (alcuni amici) che sono il massimo della noia (so che potranno sembrare dei luoghi comuni, ma giuro che è tutto vero: questi amici pensano quello che è giusto pensare; si sono laureati in tempo; votano progressista; nel momento opportuno, cioè dopo i dubbi adolescenziali, si sono convertiti al cattolicesimo; ognuno ha la sua brava bandierina della pace penzolante dal balcone; fanno la spesa equosolidale; a venticinque anni si sono sposati tutti; mangiano biologico, a Natale propongono regali di beneficenza; finanziano Emergency; bevono poco; fumano per niente; eccetera). Descritti così potreste pensare che tra loro e la concupiscenza ci possa essere lo stesso rapporto che intercorre tra gli asparagi e l'immortalità dell'anima. Ma vi sbagliereste. Perché a un certo punto, quella sera, subito dopo il cenone, i miei amici si sono messi a guardare la televisione. La scelta, con risolini starnazzanti, è finita su un programma che mostrava: 1. Tecniche per il petting; 2. Come fare un pompino con il risucchio; 3. Come masturbare una donna e regalarle un orgasmo strepitoso in meno di due minuti. Mancavano soltanto le istruzioni su come infilare un preservativo con la bocca e la trasmissione sarebbe stata perfetta. Non nascondo il fatto che ero inorridito. Anzi, mentre li guardavo male, i miei amici mi avevano persino dato del bacchettone. Dico: loro a me. Insomma, non erano loro a essere squallidi (cazzo, dei trentenni che della noia hanno fatto la loro gioia di vivere) ma io che gli dicevo di farsi furbi, che non offrivano a se stessi un'immagine esteticamente (sottolineo: esteticamente) edificante. A questo punto sarebbe stato meglio fare un'orgia. Cioè, pensavo, loro avrebbero sì desiderato l'orgia, ma per via del super Ego, figurarsi se avevano il coraggio di proporla. Perciò eccoli lì, per salvarsi l'inconscio, a eccitarsi su come il dito medio può stimolare il clitoride di una bamboletta gonfiabile. E lo squallido ero io.

    Secondo voi, perché racconto questo episodio? Per mostrare come la concupiscenza, in quanto brama di piaceri sensuali, è ovunque tanto in una Torino chippendale quanto nelle foreste selvagge del Borneo. Si tratta solo di gradi diversi, ma l'abiezione, sotto sotto, è la medesima. D'altronde basta fare una riflessione etimologica. Se la tesi è che la vita è concupiscenza, allora si prenda la parola più neutra di questo assunto iniziale: “Vita”. “Vita” in tedesco si dice “Leben”; il termine è imparentato con “Bleiben” (“restare”; beleiben = den Leib geben, “dare il corpo”); l'affinità è con il greco “liparein” e, analogamente, con il latino “lippus” (gocciolante); la radice indoeuropea di “lippus” è “leip” (grasso, unto, sudiciume), “seme maschile”. Vita, sporco e attività sessuale sarebbero quindi la stessa cosa. Non so se questo ragionamento vi provochi un qualche rodimento di culo o meno, certo è che, in alcune sue conseguenze, porta a considerazioni di tipo universale.

    Ma prima di arrivare all'universo è meglio aspettare ancora un attimo.
    Non so voi, ma il male, volendo, si vede ovunque. Intanto, nei miei momenti schopenhaueriani, quando mi rendo conto che ogni cosa è volontà di riproduzione, di perpetuazione della specie e che tutto questo, in quanto tale, non è per niente una tragedia da poco; poi nel minimalismo con cui questa fame di esistenza s'incarna. In genere riguarda le coppiette che il sabato pomeriggio si prendono per mano, che guardano le vetrine con sguardo bovino, che si chiamano pallino e pallina e che ai passanti (tutti prevertiani) suscitano quel sentimento abominevole che è la tenerezza. Anche questa, benché mascherata, è concupiscenza vera e propria. Ma con una aggravante: è concupiscenza infelice, unicamente riproduttiva, di tipo famigliare. Da una concupiscenza di questo tipo non sono mai venuti fuori santi (San Francesco, Sant'Agostino e persino Gilles de Rais) ma semplicemente carne, carne per il disegno darwiniano del mondo. Appunto, il mondo. Ecco, quando si prende posizione su un argomento qualsiasi bisognerebbe avere ben chiaro il tipo di universo in cui viviamo.

    Prendiamo il caso della concupiscenza e formuliamo tre ipotesi. 1: L'universo è infinito e uniforme. In questo caso è una verità matematica inconfutabile che in un universo siffatto tutto quello che può succedere succederà, e che succederà un infinito numero di volte. Se c'è una probabilità finita, anche minima, che una sequenza di eventi si verifichi, ed esiste un'infinità di luoghi dove può realizzarsi, il tentativo riuscirà necessariamente un infinito numero di volte. Tutto questo significa che la scimmia del Borneo è infinitamente violentata, che i due di Fregene stanno ripetendo all'infinito che gli rode il culo, che in televisione, da qualche parte, ci saranno sempre trasmissioni che raccontano come fare il pompino con risucchio, che tette, cazzi e culi saranno infinitamente intercettati, eccetera. Non c'è scampo. E soprattutto, in un universo infinito e uniforme, non ha alcun senso formulare giudizi di valore perché i valori sono sempre relativi a qualcosa; se l'universo è infinito, se l'essere è tutto, tutto quello che capita, unicamente per il fatto che capita, ha in sé la sua ragione.

    2: L'universo è finito ma il tempo in cui si trova è infinito. E' la situazione famosa in cui una scimmia che batte a caso i tasti di una macchina da scrivere, se potesse disporre di un tempo infinito, comporrebbe senz'altro la Divina Commedia e ogni altra cosa scritta nella storia dell'umanità. E' l'eterno ritorno dell'uguale: se il tempo non ha fine, un numero determinato di atomi si combinerebbe senza sosta in tutte le forme che le leggi della fisica contemplano come possibili. Anche in questo caso ci troveremmo in pieno irrazionalismo e verrebbe meno ogni concetto di giustizia umana. Insomma un Woodcock qualsiasi condannerebbe in eterno i concupiscenti e i concupiscenti si troverebbero eternamente condannati senza alcuna possibilità di redenzione. Se la pena dev'essere riabilitativa, nell'universo dell'eterno ritorno la pena sarebbe invece perpetua. Se l'umanità dovesse vivere in un universo siffatto occorrerebbe quindi abolire le carceri o rivedere completamente il concetto di giustizia. Le conseguenze per l'umanità sarebbero enormi. I delitti sarebbero accettati in quanto non punibili.

    3: L'universo, in tutti i suoi aspetti, è finito. E' il caso più semplice perché questo sarebbe l'universo in cui tutti si illudono di vivere. Per un non credente la situazione è di poco interesse: si arrangia come può, vive la sua storia e decide come, di volta in volta, comportarsi (potrebbe essere libertino o casto, gentiluomo o delinquente ma ogni atteggiamento sarebbe unicamente un fatto privato di cui, rispetto agli altri, è soltanto in una certa misura responsabile). Per un credente invece tutto è più interessante: scommette infatti che ogni sua azione qui avrà una ripercussione là, in un mondo ultraterreno che trascende l'universo finito post-caduta. La sua vita dovrà essere improntata a quella successiva perché il mondo altro non è che una pista di decollo. In un universo di questo tipo sono quindi necessari i giudizi di valore e un esercizio arguto della razionalità. Nel caso della concupiscenza, il credente che se la ritrova tra le gambe dovrà saperla volgere a suo vantaggio.

    Ma anche qui c'è un inganno. Scriveva Flaubert nella “Tentazione di Sant'Antonio” (adottando, dalla parte del credente, l'ipotesi numero tre sull'universo): “Vorrei avere delle ali, un guscio, una scorza, una proboscide, soffiare fumo, attorcigliarmi, scompormi, essere in ogni cosa, esalarmi con gli odori, svilupparmi come le piante, scorrere come l'acqua, vibrare come il suono, brillare come la luce, acquattarmi sotto ogni forma, penetrare in ogni atomo, scendere fino al fondo della materia, essere la materia”. E' la migliore definizione di concupiscenza che abbia mai trovato. La concupiscenza come possibilità di superare il mondo abbracciandolo per intero. Ma a leggere bene, più che un'esortazione alla salvezza, Flaubert descrive il mondo terribile di Hieronymus Bosch: un mondo in cui persino una femmina di orangutan violentata da una fila di uomini troverebbe qualcuno disposto ad amarlo. Comunque la si metta, l'universo è tiranno. (Immagine tratta dal film “Eyes wide shut” di Stanley Kubrick)

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