“La condizione irrinunciabile per noi è il federalismo”. Parla Zaia

Salvatore Merlo

“Identità, tradizione, federalismo, sicurezza alimentare e protezionismo. Sull'Ue – dice al Foglio il ministro delle Politiche agricole, Luca Zaia – dovremmo tracciare una riga nera e ripartire da capo. Ci vogliono i dazi sulle merci asiatiche, un'idea di Bossi prima che di Tremonti. Il federalismo è parte di questo progetto per il rilancio dei prodotti italiani”.

    Roma. “Identità, tradizione, federalismo, sicurezza alimentare e protezionismo. Sull'Ue – dice al Foglio il ministro delle Politiche agricole, Luca Zaia – dovremmo tracciare una riga nera e ripartire da capo. Ci vogliono i dazi sulle merci asiatiche, un'idea di Bossi prima che di Tremonti. Il federalismo è parte di questo progetto per il rilancio dei prodotti italiani”. Ma Berlusconi per ora è entusiasta di altro, vuole riformare la giustizia, e ieri sera Umberto Bossi ha detto che “la riforma della giustizia è cosa che vuole Berlusconi e se la vuole lui va bene anche a me”. “Nel nostro statuto c'è scritto che la Lega esiste perché deve fare il federalismo. L'unica condizione irrinunciabile per noi è il federalismo. Bossi è convinto che questa legislatura sia quella buona per portarlo a casa. Farà in modo che lo sia davvero. A tutti i costi”.

    Per Zaia, “la politica agricola comunitaria ha fallito, adesso va cancellata e rifatta. La politica delle eccedenze, che ci costringe a gettare tonnellate di prodotti nazionali, non ha funzionato: qui in Italia grazie all'Europa ci mancano due milioni di tonnellate di latte e mezzo milione di carne, per non parlare dei cereali. Tutti prodotti che siamo costretti a importare dall'estero. La produzione va rilanciata, le quote cancellate e i prodotti cinesi vanno tassati”. E' il colbertismo di Giulio Tremonti. “No – dice Zaia – è la politica della Lega. Mi ricordo quando Bossi annunciò la battaglia dei dazi. Fu a ponte della Priula, un sacco di anni fa. Tra Bossi e Tremonti c'è sintonia ma in questo caso non siamo noi a essere d'accordo con lui, è lui che è d'accordo con noi. Ci frequenta da anni. L'ho conosciuto in momenti d'informalità, a Lorenzago in Cadore, nelle ritirate estive di Bossi. Mangiavamo pane e salame”. Dazi e lotta alla concorrenza asiatica. Per questo il ministro annuncia che domani, alla riunione della Wto di Ginevra, voterà contro il trattato: “Vogliono inserire il riso, le cipolle, gli agrumi tra i prodotti tropicali, con l'effetto di azzerare i dazi. Cosa succederà? Semplice, verremo invasi dal riso e la produzione padana sarà letteralmente uccisa. Non lo permetterò. O l'Asia si adegua agli standard europei, nel rispetto del lavoratore e dei diritti, o vanno tassati senza pietà”. Facendo sponda con chi ci sta, seguendo una precisa scelta di realpolitik.

    A Zaia non piace l'Europa e non si fida dei partner della comunità: “Mi danno grandi pacche sulle spalle, si baciano sulle guance tra loro. Ma la politica si costruisce sulle lobby delle convenienze, non ci sono altri generi di relazioni. Francia e Germania spesso ci ostacolano. Bisogna essere pronti a sacrificare anche relazioni consolidate, pur di ottenere il risultato. Con Sarkozy condividiamo la politica dell'immigrazione e della concorrenza sleale asiatica, siamo anche d'accordo nel contestare Doha, ma sulle quote latte i francesi sono avversari. In questi ultimi anni il nostro paese ha perso molto nella capacità di negoziare”. Per questo il ministro spiega anche di avere modificato la consuetudine d'inviare alle riunioni internazionali dei funzionari: “Io seguo tutti i negoziati personalmente. Come vado pure a incontrare i nostri produttori nei luoghi dove lavorano”.

    Si racconta che Zaia viaggi sempre munito di una spugnetta, per nettare le scarpe dopo aver visitato i campi e gli allevanti di bestiame: “Proprio così”, dice. Ma l'Europa è da abbattere? “Bisogna ripartire da zero, troppe leggi e burocrazia. E' fatta di gesso, è lenta e lontana dalla gente”. Il quarantenne ministro padano vuole imporre una logica e un'estetica imprenditoriale alla politica: “Ho tolto le livree ai commessi del ministero, entrando qui si deve capire che si tratta di un palazzo dove si risolvono problemi”.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.