Così la dottrina Rumsfeld ha permesso alla Colombia di liberare Ingrid

Maurizio Stefanini

Ingrid Betancourt è stata liberata grazie a Rumsfeld. Non direttamente, s'intende, ma è stata l'attenta lettura dei suoi scritti a ispirare la rivoluzione concettuale che, dopo quarant'anni di virtuale invincibilità della guerriglia, ha permesso infine alle Forze armate colombiane di incastrare le Farc.

    Ingrid Betancourt è stata liberata grazie a Rumsfeld. Non direttamente, s'intende, ma è stata l'attenta lettura dei suoi scritti a ispirare la rivoluzione concettuale che, dopo quarant'anni di virtuale invincibilità della guerriglia, ha permesso infine alle Forze armate colombiane di incastrare le Farc. Premessa della rivoluzione militare è stata quella politica del 2002, col voto plebiscitario che ha mandato alla presidenza l'outsider Álvaro Uribe Vélez, su un programma di linea dura con la guerriglia. La stessa volontà popolare nel 1998 aveva dato un altro plebiscito ad Andrés Pastrana per negoziare con la guerriglia, ma le Farc si erano rivelate inaffidabili, portando un'opinione pubblica esasperata alla grande svolta.

    Appena insediato, Uribe si è dunque rivolto al generale Carlos Alberto Ospina Ovalle, classe 1947, nato a Manizales, in quella zona andina che i colombiani chiamano “Asse del Caffè”, studi statunitensi sia alla U.S. Army Airborne Basic Course and Advanced Infantry Officer Course di Fort Benning in Georgia sia alla National Defense University di Fort McNair a Washington. Docente di storia militare all'Accademia, Ospina si è messo a studiare, con tanta intensità che nessun giornalista dice di essere riuscito a parlare con lui “per più di cinque minuti”. Ha passato quindici mesi a leggersi i manuali americani e a meditare sugli scritti di Rumsfeld. Risultato finale, quel “Manuale Congiunto Jp-3” la cui filosofia parte da una frase di Rumsfeld: “La tecnologia dell'armamento non trasformerà le Forze armate se noi non cambieremo la forma di pensare, la forma di addestrare e la forma di combattere”.

    Ciò che aveva più colpito Ospina, della dottrina Rumsfeld, era stata l'idea delle due catene di comando distinte, amministrativa e operativa. Cioè l'assioma che le necessità sul campo devono avere il sopravvento rispetto alla struttura burocratica. La tragedia delle forze colombiane era proprio nel modo in cui ogni struttura agiva per conto proprio, senza coordinarsi con le altre. Perfino la fuga nel 1992 di Pablo Escobar dal carcere su misura in cui l'avevano rinchiuso, la famosa “Catedral”, era avvenuta perché la forza aerea non era riuscita a mandare in tempo un velivolo in grado di trasportare a Bogotá le forze speciali necessarie a domare un ammutinamento, di cui il capo del cartello di Medellín aveva approfittato per fuggire. Col nuovo manuale in mano Ospina va da Uribe, che approva entusiasta: “Anche a me è toccato agire personalmente per chiedere all'aviazione di intervenire in difesa di soldati attaccati”.

    Con l'imprimatur presidenziale, nel novembre del 2004 Ospina è nominato comandante in capo delle Forze armate. All'inizio il comandante dell'esercito, generale Martín Orlando Carreño, fa ostruzionismo. L'ennesimo scandalo di nove poliziotti uccisi da soldati che li scambiano per guerriglieri dà però al presidente l'opportunità per sostituirlo, quando nel novembre del 2004 arriva un tradizionale periodo di avvicendamenti. Arriva il generale Reynaldo Castellanos, proprio mentre è creata la Fuerza de Tarea Sur, “Task force sud”, il comandante è il generale Carlos Alberto Fracica. L'organico è di 15 mila uomini: per lo più soldati di Brigate mobili, appoggiate su elicotteri. Ma ci sono anche 800 marine, che sui barchini “piraña” pattugliano i fiumi per interrompere una delle principali rotte del traffico di armi e cocaina. E c'è l'appoggio diretto di reparti aerei. Dopo un poco alla Forza sud si affianca il Comando congiunto del Caribe, con base a Santa Marta e con alla testa il generale Mario Montoya Uribe. In tutto passano così a ben 60 mila gli uomini tolti dal comando dell'esercito che passano alla dipendenza diretta del Comando generale delle Forze armate. Quattro generali protestano, ma Uribe li caccia.

    Nel frattempo la Task force sud ha iniziato a rioccupare la “zona di ripiegamento” del Caguán, quell'area amazzonica grande come la Svizzera e con oltre 100 mila abitanti che Pastrana aveva concesso alle Farc come pegno di buona volontà per i negoziati e che le Farc avevano invece trasformato in uno stato nello stato, dove imporre un regime da khmer rossi a base di esecuzioni alla nuca. Il ruolo strategico ormai sorpassa il quadro regionale, così che quando cominciano ad arrivare i primi risultati la ribattezzano Fuerza de Tarea Conjunta “Omega”: come l'ultima lettera dell'alfabeto greco, la forza che metterà fine alla guerra. Nel gennaio del 2005 il recupero del Caguán è compiuto. La seconda fase tenta di impedire ai guerriglieri di indire conferenze stampa volanti per dimostrare che stanno ancora nella regione. Nella terza, consolidato il controllo del territorio, inizia il rastrellamento della jungla.

    Non mancano i rovesci: la ristrutturazione della catena di comando permette ora di far intervenire gli aerei in tempi rapidi, ma manca ancora l'autonomia operativa per mantenere gli aerei in volo il tempo necessario. Nel dicembre del 2006 è però annunciata la quarta fase: la caccia ai capi delle Farc, per terminare la guerra entro quattro anni. “Campagna Omega” si chiama, “per onorare i 137 caduti e i 1.300 feriti della Task force”. Sono 14.300 uomini, con il nuovo comandante generale Alejandro Navas. Ci sono meno soldati, perché bisogna presidiare i centri recuperati. Ma più aerei  e più unità fluviali. Ai colonnelli si ordina di combattere in prima linea, per dare l'esempio. E si sa già che da gennaio il brasiliano Lula manderà i nuovi aerei da attacco al suolo Supertucán, rifornibili in volo.