Rizzoli in finale, scelta giusta

Quarantino Fox

Raro momento di lucidità della Commissione Fifa.

Sì per carità, dicono che non fosse proprio la prima scelta della Commissione Fifa. Davanti a lui, sussurrano gli spifferi più o meno forti che escono dalle ovattate stanze dove si riunisce il Politburo blatteriano, c'era l'uzbeko Ravshan Irmatov. Forse anche il portoghese Proença e, perché no, il Mastro Lindo britannico Howard Webb, esempio vivente di buon arbitro pompatissimo dai media che ebbe la sua gloria in Sudafrica, tentando di gestire malamente la finale-guerra tra spagnoli e olandesi. Alla fine, però, a spuntarla è stato Nicola Rizzoli, terzo italiano chiamato a dirigere una finale mondiale dopo Gonella nel 1978 e Collina nel 2002. E con lui gli assistenti Renato Faverani e Andrea Stefani, considerati il top a livello internazionale ma – stranezze della vita – non i migliori in Italia. Rizzoli se l'è meritata. Per costanza, capacità, intelligenza. Il suo dialogare fitto con i calciatori, che a chi scrive provoca orticaria costante, in Brasile si è rivelato la carta vincente. In un mondiale dove il Regolamento è stato stuprato dalla massima "favorire lo spettacolo", il buon pastore Rizzoli ha avuto gioco facile a mostrare tutte le sue doti di buon psicologo e confessore. Pochi cartellini – così ha richiesto Busacca, anche se lui smentisce e dice che il merito per le poche sanzioni è tutto dei giocatori –, e molto dialogo per rendere morsicatori e karateka spazzatori di tibie delle perfette e virginee educande. Cose fuori dal mondo, ma che in Brasile sono diventate disposizioni ufficiali della Fifa. Buon per loro. E pazienza se nel buonismo generale le tibie si sono rotte e i morsi sono stati dati.

 

Va detto che le possibili soluzioni alternative a Rizzoli sono state ben poche, in realtà. Irmatov, enfant prodige della coppa del mondo sudafricana (dal nulla riuscì a dirigere perfino il quarto di finale tra Argentina e Germania e la semifinale tra Uruguay e Olanda), è apparso assai meno brillante rispetto alla rassegna del 2010. Pedro Proença, fischietto portoghese di livello assoluto, si è squagliato sotto il Sole equatoriale delle partite giocate all'una del pomeriggio. Di Webb s'è già parlato. Tra ricusazioni e veti incrociati (pare che agli argentini non andassero bene arbitri uzbeki, neri, orientali, inglesi, sudamericani), il taccuino di Busacca non lasciava molte altre soluzioni. Certo, dicono i bene informati che i tedeschi abbiano storto il naso davanti alla prospettiva Rizzoli, visto che  – dopotutto – quello di domenica al Maracana sarà il terzo incrocio (su sette partite) del nostro fischietto con l'Albiceleste. Ecco perché, nelle ultime ore, era circolato con terrore perfino il nome dello svedese Jonas Eriksson, direttore di gara dal girovita abbondante i cui rotoli addominali erano apparsi in mondovisione stretti e compressi nelle attillate divise confezionate da Adidas in occasione dell'ottavo di finale Argentina-Svizzera.

 

Alla fine, in un raro momento di lucidità, la Commissione ha scelto Rizzoli. Premio alla scuola arbitrale italiana, tanto detestata in Patria quanto invidiata all'estero. E forse sarebbe il caso di farsi qualche domanda.