L'incontro tra Erdogan e Papa Francesco a Roma (foto LaPresse)

Turchi in Vaticano

Il Papa in cinquanta minuti sfugge al trappolone di Erdogan

Matteo Matzuzzi

Ankara voleva arruolare Francesco tra gli alleati per rafforzare la propria posizione nel vicino oriente

Roma. L’intento di Recep Tayyip Erdogan, che aveva chiesto l’udienza al Papa, era quello di tornare ad Ankara brandendo l’appoggio di Francesco per le proprie politiche nel vicino e medio oriente, soprattutto in riferimento alla “battaglia” per Gerusalemme, che a suo dire non può essere capitale d’Israele perché città di tutti. L’assonanza di vedute con il Papa sul tema c’è, visto che per la Santa Sede è fondamentale rispettare lo status quo. Ma non aveva fatto i conti con l’ospite, al quale è impossibile dettare l’agenda. E infatti il comunicato – capolavoro di cesellatura diplomatica – pubblicato dal Vaticano sottolinea sì il confronto sulla questione Gerusalemme (il Papa, come ha più volte detto, è per la soluzione dei “due stati”), ma chiarisce che i due, nella lunghissima udienza – 50 minuti, il doppio del tempo concesso solitamente ai capi di stato – hanno parlato anche di altro: dallo stato delle relazioni tra i due paesi al problema dei migranti, fino alle condizioni della piccola comunità cattolica in Turchia, che fatica a intravedere quegli spazi d’azione che a parole più volte Erdogan ha promesso nell’ambito della sua campagna sulla libertà religiosa (le comunità cristiane nel paese ponte tra Europa e Asia chiedono da anni il riconoscimento giuridico). Nessun accenno ai curdi.

 

L’udienza era delicata, i precedenti approcci tra Francesco e il leader turco erano stati improntati alla freddezza e anche a qualcosa di più, se è vero che nel 2015, all’indomani delle parole del Papa pronunciate in San Pietro sul genocidio armeno, Ankara richiamò il proprio ambasciatore a Roma, convocò il nunzio apostolico e definì il Papa uomo “che distorce la storia”. Francesco, secondo il ministero degli Esteri turco, aveva assunto una posizione “discutibile sotto tutti i punti di vista” e “basata sul pregiudizio”. Il capo del dipartimento per gli Affari religiosi, Mehmet Görmez – che aveva peraltro ricevuto Francesco al Diyanet solo pochi mesi prima – calcava ancora di più la mano: “Se tutti dobbiamo essere considerati responsabili per le sofferenze e i dolori passati, il Vaticano ne uscirà fuori come il grande sconfitto. Trovo le parole del Papa immorali e non riesco proprio a farle stare insieme con i principali valori del cristianesimo”. Il realismo politico richiede però di andare oltre le roboanti reazioni dialettiche utili a rafforzare l’orgoglio nazionalista turco. La Santa Sede conosce l’impegno di Ankara sul fronte migranti ed Erdogan sa bene quanto ampio sia il credito di Bergoglio come leader politico nelle controversie internazionali, specie in quelle che sembrano matasse impossibili da sbrogliare (Cuba-Stati Uniti, Colombia, ad esempio). Tra alti e bassi, insomma, il dialogo può andare avanti. 

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.