Il "momento dinamite" di Mark Zuckerberg

Eugenio Cau

Dallo scandalo Cambridge Analytica a all'auto a guida autonoma di Uber

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Il "momento dinamite" di Mark Zuckerberg

Questo pezzo uscirà sul Foglio del 23 marzo: lo pubblichiamo in anteprima qui su Silicio, con poche modifiche. Parla del grande scandalo di Cambridge Analytica, che è nato lo scorso fine settimana e si è trasformato in pochi giorni nella più grande crisi della storia di Facebook. Se vivete su un'isola deserta e leggete soltanto Silicio (ottima dieta mediatica, bravi) scorrete qui sotto nella sezione Valley e altre Valley, dove troverete tutti i link necessari per recuperare. Cominciamo.

 

Yonatan Zunger è un ex ingegnere di Google con una formazione in fisica teorica. Lunedì scorso, dopo lo scoppio dello scandalo intorno a Facebook e a Cambridge Analytica, Zunger si è messo su Twitter e ha scritto una serie di post per spiegare che il problema di Facebook è in realtà più ampio dell’idea distorta che Mark Zuckerberg ha della privacy o delle pratiche societarie opache di Menlo Park. Il problema è che le scienze informatiche, intese come branca della scienza, non sono mai state messe davanti alle conseguenze delle loro azioni – non hanno mai avuto il loro “reckoning moment”, il  momento della consapevolezza, del risveglio.

 

La chimica, spiega Zunger, ha avuto due grandi “momenti di consapevolezza”: il primo alla fine dell’Ottocento quando Nobel inventò la dinamite, e si scoprì che dal lavoro innocuo di scienziati in camice bianco potevano nascere stragi di massa; il secondo è stato, all’inizio del Novecento, l’invenzione delle armi chimiche. La fisica ha avuto il suo “reckoning” con la costruzione della bomba atomica, che ha generato un dibattito celebre e straziante all’interno della comunità scientifica, con i ricercatori che si chiedevano: “Cosa abbiamo fatto?”. Prima di questi eventi, tanto la fisica quanto la chimica erano due campi di ricerca pieni di ottimismo: cambieremo il mondo, dicevano gli scienziati, esattamente ciò che oggi si ripromettono di fare gli ingegneri della Silicon Valley.

 

Il “momento della consapevolezza” ha cambiato le scienze che ha toccato: prima erano piene di speranza, poi sono state schiacciate dal peso della responsabilità: i ricercatori hanno capito che le loro ricerche potevano influenzare la vita di innumerevoli esseri umani, e non necessariamente in meglio. Le scienze informatiche – parliamo di Facebook come di Google, ma il concetto si può estendere alle aziende tecnologiche cinesi, agli allegri esperimenti di Elon Musk, alle follie intorno ai Bitcoin – questa consapevolezza non l’hanno ancora raggiunta. Il caso di Cambridge Analytica – vale a dire: il fatto che Facebook regalasse i dati personali degli utenti come fossero caramelle e senza curarsi di che uso se ne sarebbe fatto – mostra che il reckoning, che la chiamata alla responsabilità, non c’è stata.

 

Davanti agli scandali, Zuckerberg e i suoi ingegneri dimostrano lo stupore candido di un bambino che rompe un giocattolo e non capisce come sia successo. Non abbiamo creato un  panopticon digitale con intenti malvagi – sembrano dire – l’abbiamo fatto perché si guadagnavano tanti soldi, e soprattutto perché era possibile farlo. Come Alfred Nobel, che inventò la dinamite perché si poteva, e soltanto dopo comprese le conseguenze della sua invenzione. Si dirà: c’è una bella differenza tra la dinamite e Facebook. Non sottovalutiamo i dati. In Cina, usando molte delle tecniche di cui Facebook e Google sono stati pionieri, è  in costruzione un nuovo  totalitarismo digitale, in cui le fantasie distopiche della fantascienza sembrano ingenue.  

 

Ora, la domanda è: dopo lo scandalo delle fake news, dopo lo scandalo delle interferenze russe sulle elezioni americane ed europee, dopo lo scandalo di Cambridge Analytica, dopo infiniti editoriali sferzanti sui giornali e hashtag  sui social, gli informatici hanno capito la lezione già appresa dai chimici e dai fisici cent’anni fa? Negli ultimi mesi si è molto parlato della crisi etica della Silicon Valley, ma se si guardano le risposte – preconfezionate,  sulla difensiva – che Zuckerberg ha dato dopo il caso Cambridge, probabilmente no.

 

Il ceo di Facebook ha snocciolato promesse vaghe e ha seguito il copione messo a punto dal team di comunicazione. Zuck non annuncerà mai le riforme che servono per smantellare il monopolio dei dati (come potrebbe? significherebbe smantellare Facebook), ma la reazione robotica allo scandalo mostra un problema più grande: lui e tutti i suoi colleghi non hanno ancora capito, stanno  aspettando che la tempesta passi per poter tornare a rompere altri giocattoli.

 


 

Un invito da parte del Foglio

Segnatevi questa data: 28 aprile. Sarà il giorno del primo Tech Festival della storia del Foglio, un evento grandioso in cui ci incontreremo per parlare di innovazione, idee e tecnologia.

 

 

Sarà a Venezia alla Scuola grande della misericordia, e interverranno alcune delle migliori menti che muovono l'innovazione in Italia e nel mondo. Ci sarà gente di Amazon e Google, ci saranno alcune delle startup più ingegnose d'Italia, ci saranno filosofi e ci sarà Piero Angela.

Ci sarà anche Silicio, ovviamente: sarà un modo per conoscersi. L'ingresso è gratuito, e tra pochi giorni sul sito del Foglio arriveranno tutte le info necessarie per registrarsi. Nel frattempo, potete inoltrate questa newsletter per condividere l'invito.

E' finalmente uscito il programma. Trovate tutto a questo link, compresa la pagina per confermare la vostra partecipazione. E' gratis, ma è meglio iscriversi subito che i posti finiscono in fretta.

 


 

VALLEY E ALTRE VALLEY 

Cosa è successo questa settimana

  • Cambridge Analytica e Facebook, cominciamo: qui le inchieste che hanno dato inizio a tutto, dove tutto sarebbe: un whistleblower della compagnia di data mining che ha aiutato a eleggere Trump e a far vincere la Brexit (Cambridge Analytica appunto) ha detto di aver messo a punto tecniche di manipolazione dell'elettorato usando i dati personali di 50 milioni di utenti di Facebook ottenuti in maniera non legittima (è più complesso di così ma se leggete i pezzi capite). Qui l'Observer e qui il New York Times.
  • Lo scandalo è scoppiato fortissimo, e più ancora che su Cambridge Analytica (sapevamo tutti che fossero dei maneggioni) la colpa è ricaduta su Facebook: il problema è che Zuckerberg concedeva (in buona parte lo fa ancora) i dati dei suoi preziosi utenti piuttosto allegramente (parliamo di foto, like, contatti, in alcuni casi perfino i messaggi privati) e senza curarsi di proteggerli. Fa parte del modello di business del social network. Leggete per esempio questo commento durissimo di Zeynep Tufekci.
  • Altri whistleblower hanno detto che il problema dell'uso allegro dei dati era diffuso e per niente sotto controllo.
  • Sono arrivate per Facebook indagini, inchieste e inviti davanti a commissioni speciali, tanto negli Stati Uniti quanto nel Regno Unito.
  • Sono partite delle campagne per #deletefacebook (con istruzioni), a cui ha partecipato, tra gli altri, anche il cofondatore di Whatsapp (uno che da Zuckerberg ha ricevuto 16 miliardi di dollari per la sua azienda).

 

     
  • La gente si è arrabbiata ancora di più quando sono riemerse vecchie prese di posizione di Zuckerberg, come questa di quando aveva 19 anni, aveva appena fondato Facebook ad Harvard e diceva che gli utenti che si fidano a dargli i suoi dati sono dei "coglioni ottusi". (Screenshot da un pezzo di Business Insider del 2010).
  • I giornali sono stati durissimi. Guardate questa copertina di Businessweek.
  • E questa dell'Economist.
  • Per lunghi giorni, Zuckerberg non ha parlato. Tutti si chiedevano che fine avesse fatto. Poi ha pubblicato un post di scuse, questo, e rilasciato un paio di interviste, questa e questa. Delusione cocente: il fondatore ha usato le stesse frasi standard che usa dopo ogni scandalo, come avete letto qui sopra non c'è stato il "reckoning moment".
  • Adesso siamo tutti qui a chiederci come finirà. La risposta più probabile è: come è sempre finita, ce ne dimenticheremo e lasceremo che Facebook continui a sifonare i nostri dati, fino al prossimo scandalo.
  • Ok, basta, anche perché abbiamo almeno un'altra notizia altrettanto importante per voi. N
  • ella notte tra domenica e lunedì, una macchina che si guida da sola ha investito un pedone in Arizona.
  • Inizialmente la polizia ha detto: è colpa della macchina. Poi ha detto: no, l'incidente era inevitabile. Poi il giorno dopo (mercoledì 21 marzo) ha pubblicato il video dell'incidente, ripreso dall'auto. Le indagini sono in corso e siamo garantisti, specie nei confronti della tecnologia, ma a noi sembra proprio colpa della macchina. La tecnologia ha fallito, questa volta. (Qui sotto il video).


 

VIDEO BONUS

Forse non ce la fate più a leggere e vedere cose su Facebook e Cambridge Analytica, ma questa intervista di Mark Zuckerberg alla CNN, in cui Zuck, a metà tra l'imbarazzato e il robotico, si giustifica e spiega, merita di essere analizzata. Dopotutto, Zuck è considerato da molti l'uomo più potente del pianeta, ed è abbastanza raro per il pubblico non americano sentirlo parlare. In inglese.

 


 

LONG READ, METTETEVI COMODI

Oggi poche long read (questa newsletter è già lunga a sufficienza) ma buone. Anzitutto: il New York Times ha fatto uno speciale pazzesco in occasione dell'arrivo a NY di una mostra su David Bowie (è stata a Bologna l'anno scorso, se l'avete persa volate a NY subito). Non c'entra molto la tecnologia a dire il vero, ma il Nyt cita nel titolo realtà aumentata e 3D, e a noi che siamo grandi fan di Bowie basta per segnalare caldamente la cosa.

Parte dell'assistenza sanitaria negli Stati Uniti è erogata da un'intelligenza artificiale, che decide chi ha diritto a certi benefit e chi no. Il sistema è molto efficiente, ma c'è un problema. Come abbiamo scritto più volte su Silicio, non si può capire che ragionamenti fa l'intelligenza artificiale, e dunque gli amministratori non sanno perché il computer dice che l'anziana signora White può avere le pillole gratis e l'anziana signora Brown invece no.

Aeon spiega in questo pezzo che amare un robot può renderci persone sentimentalmente più mature.

Netflix ha creato il suo font, che farà risparmiare alla compagnia di streaming milioni di dollari.

La storia bella e dolorosa del crollo di Yahoo, con screenshot preistorici e il racconto terribile della caduta del primo re di internet.

Quando vedete che un video su YouTube ha milioni e milioni di visualizzazioni, non vi fidate: il mercato della compravendita delle views è fiorente e ampio.

 


 

APP DELLA SETTIMANA

Diciamo che siete scontenti di Spotify e di Apple Music. Difficile essere scontenti di due servizi così, ma diciamo che vi manca il brivido della scoperta, delle audiocassette scambiate (per i pochi che le ricordano ancora). Potreste provare Bandcamp, è un sito (con app) in cui molte band emergenti mettono le loro opere prime. E' pieno di schifezze, ma quando si trova una gemma nascosta, che soddisfazione. Per iPhone e per Android.

Di più su questi argomenti:
  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.