LaPresse/AFP

Non finite come Kodak

Eugenio Cau

L'idea di lanciarsi sulla blockchain e fare una propria criptomoneta per fotografi potrebbe essere, ancora una volta, una delusione

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La storia è celebre. Nel 1988 Kodak andava fortissimo. Era uno dei cinque brand di maggiore valore al mondo, dava lavoro a 145 mila persone, aveva introiti miliardari. Era un impero multinazionale fondato sulla fotografia a pellicola, e niente sembrava potesse fermarlo: la gente continuerà per sempre a fare foto. Ma un tarlo tormentava i dirigenti dell’azienda americana. Il digitale muoveva i primi passi, e poteva diventare una minaccia. Bisognava innovare.

   

Kodak assoldò un’agenzia di futuristi, di analisti specializzati nel prevedere i trend, per capire quale sarebbe stato “il futuro della pellicola”. I futuristi studiarono e analizzarono, e tornarono dai dirigenti di Kodak con un responso: “Il futuro della pellicola è il digitale. E’ finita”. Furono cacciati in malo modo.

  

Sappiamo bene cosa è successo. Travolta dal digitale e dall’incapacità di innovare, Kodak è finita in bancarotta, ha licenziato quasi tutti i suoi dipendenti, ha tentato un incerto ritorno in questi anni sull’onda della nostalgia per l’analogico, ma è un’ombra triste dell’azienda che fu un tempo. (Per essere onesti con Kodak: già nel 1975 un dipendente produsse una delle prime macchine fotografiche digitali del mondo, con sensore da 0,01 megapixel, ma il progetto fu accantonato. Nel 1991 però, tre anni dopo la cacciata dei futuristi, Kodak già progettava il suo debutto nel digitale, ma non fu sufficiente).

 

E’ da almeno un paio di decenni, dunque, che si parla di Kodak per descrivere una storia di declino e fabbriche chiuse e dipendenti licenziati, oppure per segnalare con scetticismo i pavidi tentativi di rilancio. Così siamo rimasti tutti un po’ stupiti, questa settimana, quando Kodak è finita su tutti i giornali con un’idea apparentemente bizzarra: ci lanciamo sulla blockchain e facciamo la nostra criptomoneta per fotografi.

 

L’idea all’apparenza è geniale. Da quando c’è internet, i fotografi hanno un grosso problema. Una volta che una foto è sul web, tutti la possono rubare e farne quello che vogliono. Si sono tentate infinite soluzioni – la più usata è il watermarking, vale a dire stampigliare sulla foto il proprio nome, così però si rovina l’immagine – ma nessuna ha avuto successo. La blockchain potrebbe funzionare, perché è un sistema studiato apposta per rendere tracciabile e trasparente ogni spostamento di un oggetto digitale. Se una foto fosse distribuita con un sistema basato sulla blockchain, il fotografo saprebbe sempre con certezza chi sta usando la sua immagine, quale sito l’ha pubblicata senza permesso, chi l’ha modificata senza chiedere. Kodak creerà anche una criptovaluta (tipo Bitcoin) per favorire gli scambi economici in sicurezza tra fotografi e con i clienti, si chiamerà KodakCoin.

 

Tutto bello, ma i dubbi iniziano subito dopo. Anzitutto, perché l’annuncio di Kodak arriva quando i termini “blockchain”, “criptovaluta” e “Bitcoin” sono parole magiche che al solo pronunciarle creano denaro e aspettativa. Il semplice annuncio della nuova iniziativa ha fatto balzare il titolo in Borsa del 119 per cento. E come mostra il caso della Long Island Iced Tea Corp, azienda che produce tè freddo, basta cambiare il proprio nome in Long Blockchain Corp perché gli investitori, completamente impazziti, facciano salire il tuo titolo di quasi il 200 per cento.

  

E poi c’è questa macchina.

  

  

Kodak vuole vendere ai suoi clienti dei potenti computer per minare la sua criptvaluta (minare significa far fare al computer complessissimi calcoli per creare la valuta e validare le transazioni. Chi mina criptovalute riceve altra criptovaluta come ricompensa, è come avere una zecca delocalizzata), e tenersi quasi la metà dei profitti.

 

Insomma, quella che nasce come un’idea per aiutare i fotografi potrebbe essere un modo per fare soldi veloci con la mania da blockchain e vendendo ai polli una macchina per minare – e l’ennesimo tentativo di rilancio di Kodak potrebbe essere, ancora una volta, una delusione.

  

VALLEY E ALTRE VALLEY

  

Cosa è successo questa settimana

  • Sembra che ogni settimana faccia una nuova vittima nell'ambiente di crescente malcontento tech. La scorsa settimana era Intel, prima è stato Facebook, adesso tocca ad Apple. La storiaccia per cui Apple rallentava le prestazioni dei vecchi smartphone per proteggere le batterie è stata scambiata (a ragione?) per un tentativo maldestro di applicare obsolescenza programmata ai prodotti. E in Francia hanno aperto un'inchiesta.

  

  

  • Secondo Forbes, il fatto che Apple abbia annunciato di sostituire tutte le batterie a poco prezzo per ripristinare le prestazioni potrebbe costare alla compagnia 10 miliardi di dollari.

  

  • Inoltre alcuni grossi investitori si sono detti preoccupati degli effetti di dipendenza che gli iPhone (e tutti gli smartphone) creano sui bambini e sui ragazzi, e si inizia a parlare di pentimento nei confronti dell'èra dell'iPhone.

  

  

  

  • Ci si mette anche la Cina: Apple ha iniziato questa settimana a cedere il controllo dei suoi server cinesi a una compagnia locale, per rispettare la legge. Tutti i dati degli account che hanno settata la Cina come paese di residenza saranno trasferiti in un server locale, e questo ha spaventato molti stranieri che abitano in Cina ma hanno account Apple occidentali.

  

  • Già che parliamo di Cina. Il governo americano in pochi giorni ha fatto saltare due grossi accordi commerciali tra aziende di Washington e di Pechino. Uno tra AT&T e Huawei e uno tra Ant e Moneygram.

  

  • C'è un po' di apprensione nel mondo delle criptovalute perché pare che il governo cinese voglia bandire "in maniera ordinata" la pratica di mining (vedi sopra per spiegazioni), mentre la Corea del sud vuole bandire del tutto gli scambi di Bitcoin.

   

   

   

  

   

   

  • Perché se chiami Uber il driver ti trova in un momento, mentre se chiami la polizia o i pompieri corri il rischio che si perdano per strada?

   

   

   

  

    

  • C'è il CES a Las Vegas, la più grande fiera dell'elettronica di consumo, ma tutti parlano di una cosa sola: robot stripper.

VIDEO BONUS 

QQuando pure Justin Timberlake fa un video (piuttosto zozzo) in cui si mette un dolcevita per fare un keynote à la Steve Jobs, cita il deep learning e la prossima egemonia asiatica, fa ballare un robot e ammicca alla singularity, non si sa se è meglio gioire perché questi concetti finalmente sono passati o se inorridire per come sono passati.

  

    

LONG READ, METTETEVI COMODI

  

Avete presente quando scorrete Instagram e incappate su pubblicità di capi d'abbigliamento meravigliosi prodotti da marche mai sentite ma all'apparenza molto hipster e startuppare? Dietro c'è una storia di ragazzini irlandesi e fornitori cinesi e marketing virale, da leggere (i vestiti, invece, non vanno comprati).

  

Quando Blake Morgan, un fautore dei diritti degli artisti musicali, ha chiesto ai dirigenti di Spotify: "Ma qual è il vostro prodotto?", loro hanno risposto "Spotify ovviamente". La cosa ci dovrebbe preoccupare, anche perché il pezzo in cui questa storia era raccontata è stato censurato dall'Huffington Post. (Se non l'avete capito, il prodotto in questione avrebbe dovuto essere "La musica ovviamente").

  

Nel frattempo però la musica digitale (non solo lo streaming) è al suo massimo di popolarità e diffusione.

  

Robopocalypse sì o robopocalypse no? Nell'annoso dibattito interviene un professore della Università della California che dice: studiate letteratura e filosofia.

  

Instagram e Facebook hanno cannibalizzato Snapchat rubando alla app tutte le sue funzioni più esclusive e mandando in crisi la creatura di Evan Spiegel. Di conseguenza, Spiegel è diventato ossessionato dalla segretezza, tanto che un ingegnere non sa a cosa sta lavorando l'altro e che non si poteva usare Snapchat alla festa di Capodanno di Snapchat.

   

Scendete dall'aeroplano, siete appena atterrati in Australia per un viaggio di lavoro e la vostra stanza d'hotel vi viene a prendere. Non è un refuso, ma un'idea di futuro: quando avremo raffinato la guida automatica, gli edifici si muoveranno con noi dentro, e cambieranno un sacco di cose.

  

Uno dei primi finanziatori di Facebook scrive un lungo saggio su come mettere a posto Facebook – prima che Facebook metta a posto noi.

  

Come abbiamo scritto qui sopra, associare il nome della propria azienda alle criptovalute può essere una manna. Ma occhio, in realtà è una trappola.

  

APP DELLA SETTIMANA

   

Se vi piace ascoltare musica su Spotify o in generale con lo smartphone questa app fa al caso vostro. Quando comincia una canzone, Genius vi manda una conveniente notifica con un link al suo testo, il quale viene annotato dalla comunità nel caso in cui i versi fossero troppo oscuri. Qui per iPhone e qui per Android.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.