“Silver Certificate”, Andy Warhol, 1962 (foto LaPresse)

Per il vil denaro

Costantino della Gherardesca

Se c’è una cosa che unisce tutti gli orientamenti politici è l’idea che i soldi siano lo sterco del demonio

L’ultimo incrollabile tabù italiano è quello dei soldi. E’ un tabù la cui origine si perde nella notte dei tempi e che – per come stanno oggi le cose – non sembra avere intenzione di levarsi dai piedi. Posso ben dirlo io, se considerate le mie nobili origini. L’aristocrazia, infatti, ha sempre avuto in orrore l’argomento “soldi” e guardate che fine ha fatto: divorata in una voragine di debiti e – di conseguenza – ridotta a un’irrilevanza tanto deprimente quanto meritata. Ma ai miei debosciatissimi antenati va perlomeno riconosciuto il merito di essersi riempiti le giornate parlando di viaggi esotici, battute di caccia e tartufi. Ma voi che in corpo non avete tracce di sangue blu, se non parlate di soldi, di che parlate?

 

A destra, di soldi non si parla: si preferisce concentrarsi sui crocefissi, sulla sacralità della vita, sui rosari e sui discorsi scaccia-migranti (e scaccia-investitori-esteri). A sinistra, men che meno: si blatera di valori, di anima e di letture che salveranno il mondo. Il centro non è pervenuto, ma anche lì immagino che tutta l’attenzione sia riservata a questioni pressantissime come l’ammissione dei divorziati alla comunione.

 

Se c’è una cosa che unisce tutti gli orientamenti politici è l’idea – completamente folle e del tutto infondata – che i soldi siano lo sterco del demonio e che, di conseguenza, chiunque conduca un’esistenza miserevole nasconda in realtà una profondissima e illuminante vita interiore. Siamo un paese cresciuto con il mito del messia coperto di stracci e, visti i risultati elettorali, si direbbe che in tanti sono ancora lì ad attendere la sua venuta.

Per fortuna in questo deserto di sale e sentimenti, ogni tanto, si leva flebile e inascoltata la vocina di qualche liberale che si permette di far presente al resto della popolazione che come paese siamo l’equivalente di un disoccupato che ha perso tutto al bingo e che è pronto a investire in puntate al videopoker quel che resta della pensione di sua madre.

 

Ma anche i liberali hanno i loro punti deboli. Ripetono che pecunia non olet e vogliono farci credere di essere pronti a fare affari con chiunque pur di risanare la nostra deprimente economia, eppure perfino loro hanno una “scala di valori” da sfoggiare al momento opportuno. E’ una scaletta molto discreta, di quelle pieghevoli. Non occupa molto spazio e la si può tirar fuori quando serve. Di norma, la tengono nascosta in cantina, sommersa chissà dove tra i libri di Locke e Hume, ma sono sempre pronti a rispolverarla e a metterla bene in vista tra i gioielli di famiglia non appena – guarda un po’ – si profila l’ipotesi di stringere rapporti con i paesi arabi. Ma dico io, cari amici liberali, come pensate di tirarci fuori dal pantano? Siglando accordi solo con gli Stati Uniti? Non credo che gli americani, nel corso della loro storia, abbiano fatto affari soltanto con governi esteri capaci di superare un auditing etico che avrebbe soddisfatto Susan B. Anthony. Per quale motivo l’islam vi spaventa così tanto? Cari liberali italiani, non è che dentro il vostro involucro da Henry Kissinger si cela un piccolo, emotivo Alessandro Di Battista?

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