La vita sconosciuta

Alessandro Moscè

Crocifisso Dentello
La nave di Teseo, 120 pp., 16 euro

Un romanzo con un plot convincente, ma soprattutto una narrazione lineare, con un linguaggio franco che attraversa e taglia l’anima dei protagonisti, che dilaga nelle loro anime come il sangue nel cervello di una donna deceduta improvvisamente. Crocifisso Dentello ha costruito il paradigma di una coppia di oggi, una come tante, morente non solo in senso figurato. Siamo a Milano nei primi anni Duemila. Ernesto, cinquantenne disoccupato, reduce da un incontro sessuale con un gigolò arabo in un parco, torna a casa e scopre la moglie Agata riversa senza vita sul divano come fosse un manichino oscillante. Prima di uscire, i due si erano scontrati perché Agata, costretta a lavorare come domestica per salvare il bilancio familiare, rimproverava ancora una volta a Ernesto di essersi lasciato andare senza più mordente e senza l’aspettativa di una nuova occupazione. Il lutto improvviso esaspera i sensi di colpa di lui, che conduce una vita sul doppio binario del matrimonio e della menzogna. “Tollerava le mie uscite solitarie notturne. Credeva che fossero una mia personale terapia per depurare il clima tossico delle nostre liti, convinta che me ne andassi a sbronzarmi in un bar lungo viale Suzzani per nutrirmi di autocommiserazione”. Agata se ne va senza sapere della vita sconosciuta del coniuge, di un pozzo senza fondo, di un vuoto oscuro, di un abisso di silenzio che ha contagiato il fedifrago Ernesto. L’autore spiega un’esistenza estranea e lo fa con rara pulizia lessicale. Ci fa capire che cosa sono stati gli ultimi rigurgiti della rivoluzione, alla fine degli anni Settanta. Ernesto viene inquadrato nel suo spicchio di esistenza anonima che agisce nei bassifondi della città di nebbia, di freddo, che entra in contatto con corpi mercenari, di gente reietta. Anche la morbosità può far parte di una vita normale e dunque sconosciuta, dissimulata. Ma perché Agata è morta? Per l’infelicità non più sopportabile? Ernesto, inizialmente, è sospeso tra il senso di liberazione e di oppressione. Scrive Dentello: “La morte è tanto devastante, prima ancora che per il suo significato di assenza definitiva, quanto più si ha il tempo di vederla disegnata su un corpo che hai visto muoversi per anni”. Anche Agata, in passato, si è sporcata le mani, ma non ha mai ucciso, così come Ernesto. E’ reduce da una battaglia ideale, persa intorno a un sistema sbagliato con la pretesa di rovesciarlo. Ma se il marito fosse rimasto a casa avrebbe potuto salvarla? Ora Ernesto è nel “piccolo museo domestico” e compie azioni compulsive in un’atmosfera macabra, irragionevole, dove al ricordo della moglie si avvicenda quello delle manifestazioni del ’77, tra molotov e vetrine infrante, spranghe di ferro e fazzoletti ripiegati sul naso. Quei figli degli operai erano cani sciolti, “diffidenti verso ogni forma di istituzione”. Un’armata Brancaleone di incazzati. Ernesto, rannicchiato sul divano di casa, risulta invece un superstite, forse di se stesso, prima ancora che del ragazzo e dell’uomo che è stato, con la televisione sempre accesa in un gorgo di disperazione, soprattutto senza futuro.

 

LA VITA SCONOSCIUTA
Crocifisso Dentello
La nave di Teseo, 120 pp., 16 euro

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