Andrea Salerno, un non grillino a La7 (dopo il Corsera schiscio su Boschi)

Marianna Rizzini

Un nuovo direttore per la rete televisiva. Degrillizzazione mediatica in casa Cairo?

Roma. “Giornalista, autore, mia madre mi urlava sempre: te lo brucio quel televisore”. Così si autopresenta, su Twitter, Andrea Salerno, ieri nominato direttore de La7. Ma c’è qualcosa – una voce di sottofondo, una news non “fake” ma neppure in chiaro – che precede e segue la notizia dell’arrivo ai vertici della tv di Urbano Cairo del già direttore editoriale di Fandango, già pilastro della trasmissione “Gazebo” (Rai3), già autore Rai3 da prima linea negli anni Duemila (poi ci fu un parziale addio alla Rai), già giornalista presso varie testate nonché, in origine (tra il ’96 e il ’98) assistente dell’allora presidente Rai Enzo Siciliano. E la voce di sottofondo vede nella nomina di Andrea Salerno un altro segno di “degrillizzazione” mediatica in corso. Succede infatti che Salerno arrivi a La7 nei giorni in cui il Corriere della Sera, quotidiano di cui Cairo è editore, non si specchia nella veemenza anticasta di altre testate sul caso Boschi (dopo l’uscita di “Poteri forti (o quasi)”, libro dell’ex direttore del Corsera Ferruccio de Bortoli). E se attorno al Corriere non così all’attacco sul caso Boschi era stato visto, in quel di Milano, un freno alla precedente “fascinazione grillina” dei salotti buoni, prima non così critici sui populismi a Cinque Stelle, e se la concomitanza con la vittoria in Francia di Emmanuel Macron aveva dato credito alla tesi del “populismo a un passo dal viale del tramonto”, la nomina di Salerno, ieri, in quel di Roma, veniva interpretata presso alcuni ambienti televisivi come segno tangibile di una mossa auto-riequilibrante: prendere un uomo lontano dalle tentazioni di “ascolto matto e disperatissimo” della pancia del web (con tutti gli annessi e connessi presso le truppe parlamentari del M5s) e mettersi in linea con i tempi. Questo si diceva ieri tra mura televisive dove si parlava di un Salerno lontanissimo dallo “stile ‘La Gabbia’ , dal nome della trasmissione condotta da Gianluigi Paragone. E in effetti Salerno, già noto autore dandiniano (nel senso di Serena Dandini), già deus ex machina guzzantiano (nel senso di Sabina Guzzanti), si tiene distante dalla zona grigia al confine tra giustizialismo, grillismo e malpancismo internettiano. E però non è neppure renziano, Salerno, giornalista e dirigente Fandango che in tempi renziani non giunse al vertice di Rai3, come molti in viale Mazzini si aspettavano, nonostante fosse apprezzato in ambienti vicini all’ex presidente del Consiglio. Invece con certezza è veltroniano, Salerno, per nostalgia, Weltanschauung e frequentazioni (una su tutte: Lorenzo Jovanotti), sebbene sia anche amico del già renziano scrittore e parlamentare Edoardo Nesi. E Walter Veltroni ricorre nella storia del Salerno ex ragazzo anni Ottanta che con i figli vorrebbe scambiare pillole di musica anni Ottanta con nozioni tecnologiche (come ha scritto una volta lo stesso Salerno in una lettera a “Il Figlio”, su questo giornale). Ricorre, Veltroni, prima di tutto per la costante “concordia di idee e visione sulla sinistra”, dice un amico, e per “la comune, antica frequentazione della famiglia Siciliano” e la comune, antica passione per il ping-pong, hobby che, come racconta DarioVergassola, a lungo collega di Salerno, il neodirettore di La7 praticava in modo intensivo anche in locali non distanti dagli studi televisivi. “Se giocassi a calcetto, come diceva il ministro Poletti, e se fossi della Roma, lo conoscerei meglio, ma ci siamo un po’ persi di vista”, scherza oggi Vergassola, che definisce “bravo fante, come si dice il Liguria”, il nuovo direttore di La7, “preparato, intuitivo, pacato e cordiale – tutti complimenti che gli faccio per ovviare al fatto che non gioco a calcetto”. E insomma Vergassola ricorda un Salerno intento a vincere al ping-pong “dietro al Teatro delle Vittorie”, e anche a perdere, anche se “qualche sconfitta gliel’abbiamo abbonata, sennò s’incazzava e vai a capire che cosa succede se fai incazzare a ping-pong l’autore con cui lavori”.

 

E chissà che cosa ci arriverà, si domandano a La7, dall’impostazione veltroniana del neodirettore, in un momento di veltronismo mediatico di nuovo in auge via documentario (“Indizi di felicità”, l’ultima fatica cinematografica di Walter, ieri recensita da Corriere e Repubblica). E chissà se e come cambierà La7 di Cairo, si domandano quelli che si sono arrovellati, giorni fa, sul perché e il percome il Corriere della Sera non avesse sposato in toto la versione De Bortoli sul caso Boschi (e Banca Etruria). Nel dubbio, ieri, nelle redazioni tv si compulsava il curriculum di Salerno, figlio di Eric, inviato del Messaggero, padre di due figli e poi autore di trasmissioni di satira (da “Raiot” a “Ottavo nano”) m a anche co-produttore della serie Sky “Gomorra”. E mentre calava la sera, c’era chi ricordava quando Salerno, “giovane quadro Rai dai grandi occhiali”. sorrideva a dirigenti e scocciatori, pur tenendo nel suo Pantheon un poster di Che Guevara.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.