Bianca Berlinguer (Foto LaPresse)

Guelfi (Rai) ci spiega perché sarà il pubblico a far chiudere “#cartabianca”

David Allegranti

Il consigliere di amministrazione di Viale Mazzini: "Sempre le stesse persone e gli stessi temi: come uccidere Renzi e far dimenticare i mille giorni del governo più riformista della storia del nostro paese"

Roma. Quella fra i renziani e i talk-show è una battaglia aperta da tempo. Prima venne lo scontro su “Ballarò”, che è stato chiuso per lasciare spazio al fallimentare “Politics”. Adesso tocca a “#cartabianca”, che va in onda sempre su RaiTre. “Vorrei ringraziare Bianca Berlinguer per l’impegno con cui ci spiega il pluralismo. ‘Pluralismo’: tante volte sempre gli stessi. Ovvìa giù”. Guelfo Guelfi, consigliere del cda Rai in quota stra-Renzi, vede la puntata di martedì 14 marzo del programma condotto in prima serata dall’ex direttrice del Tg3, e sbotta. Tra gli ospiti, Pier Luigi Bersani e Marco Travaglio.

 

“Ieri sera (martedì, ndr) Berlinguer ha prodotto il suo show collegandosi direttamente dalla Bulgaria, dove Bianca era stata segregata. Il telespettatore – dice Guelfi al Foglio – ha potuto vedere gli ospiti che continua a proporci e che sono il segno distintivo del principio pluralista, per cui si è plurali facendo intervenire molte volte sempre gli stessi. A me pare che si debba sottolineare un fatto: i due grandi concorrenti televisivi sulle vicende politiche del nostro paese, ‘Cartabianca’ e ‘diMartedì’, si distanziano di uno 0,1 per cento: ‘diMartedì’ vince con il 4 per cento, segue Bianca Berlinguer con il 3,9, su una platea che li tiene distanti di ben 50 mila utenti: 971 mila il primo, 927 mila il secondo”.

 

Il problema quindi secondo lei sono le persone che animano il talk o i temi affrontati? “Mi pare difficile cogliere la differenza tra le persone e i temi. Essendo sempre le stesse persone, anche i temi sono sempre gli stessi, cioè uno: come uccidere Renzi, come far dimenticare i mille giorni del governo più riformista della storia del nostro paese”. Addirittura il più riformista! Ma dunque il problema si risolverebbe chiamando in trasmissione persone diverse? “No, il problema non sarebbe risolto: in quel contesto lì è bene che se la sbrighino da soli. Io però un suggerimento ce l’avrei, da consigliere della Rai: credo che viviamo in un paese ricco di esperienze, di condizioni di vita, di temi e problemi, dalla migrazione alla scuola, dai contratti di lavoro all’equilibrio ambientale, dalle nuove generazioni ai processi formativi per l’avviamento al lavoro. Sono tutti grandi temi di vita quotidiana che purtroppo il martedì non possiamo vedere rappresentati nel confronto dei grandi talk- show, da parte dei conduttori e delle conduttrici, perché loro pensano a Renzi”.

 

Ma c’è una classe dirigente renziana adeguata a presentarsi in tv? L’impressione è che ci sia solo Renzi; poi, chi altri? “Io penso che parlare non convenga né ai renziani, né agli anti renziani. Bisogna far sì che il fiume scorra e poi vedremo nelle occasioni deputate qual è il giudizio che il paese dà sul giovane Renzi, cioè quando si vota; sia all’interno del partito che nel paese”. Insomma non si può parlare di Renzi e di politica in tv? “Io rilevo il fatto che questi grandi temi mi sembrano assenti; sono presenti invece Travaglio e Bersani. Sembra una compagnia di giro: ‘Cartabianca’, ‘Otto e Mezzo’, ‘diMartedì’. Una volta si chiamavano caratteristi del cinema. Oggi ci sono i caratteristi del talk e sono sempre gli stessi”. Ma la questione si risolve, dunque, con qualche renziano in più? Il problema, dice Guelfi, “è che il format è sempre lo stesso e rende tutti uguali; se noi sapessimo combinare il giusto mix avremmo perlomeno una noia diffusa su un principio di democrazia più praticato. Invece abbiamo la noia concentrata dalla stessa parte, con la stessa intenzione e con gli stessi risultati. Quindi direi, da un punto di vista meramente commerciale, che è pari e patta. Un po’ come se Inter e Juve giocassero 100 partite e facessero sempre uno a uno; dopo un po’ non ci andrebbe nessuno a vedere quelle partite”. Quindi che cosa volete fare? Chiudere ‘Cartabianca’? “Non mi spingo su questo terreno; l’abbiamo già mandata in Bulgaria, togliendole la direzione del Tg3, concedendole uno spazio alle 18,30, preceduto da ‘Geo’ che fa un ottimo share e poi l’abbiamo rinchiusa in prima serata in un altro spazio ambito e popolare. Va bene così. L’esercizio plurale e democratico è un principio ispirante, quindi non deroghiamo. Il futuro saprà far giustizia da sé delle cose che piacciono e non piacciono. Sarà il pubblico a farlo chiudere”. Come è già accaduto con “Politics”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.