Beppe Grillo (foto LaPresse)

Netflix trasmette un comizio politico di Grillo catalogandolo come cabaret, e i giornali italiani ci cascano pure

Guido Vitiello

Che Grillo voglia ingarbugliare i registri è naturale: sa bene che fare la parte del comico quando lo si interpella come politico e indossare i panni del politico quando lo si ascolta come comico è il modo migliore per rendersi perennemente irresponsabile

I tedeschi del tempo di Weimar saranno pure stati sonnambuli che pencolavano sull’orlo dell’abisso; ma erano comunque abbastanza svegli da saper distinguere a colpo d’occhio un raduno di nazisti in una birreria di Monaco da uno spettacolo di cabaret di Karl Valentin in un Tingeltangel bavarese. Bene, buttiamoci una secchiata d’acqua in faccia e appuntiamoci un episodio minore che servirà da nota a piè di pagina per una futura storia del suicidio della Repubblica. Da ieri si può vedere su Netflix il comizio del capo di un partito che, a prender per buoni i sondaggi, potrebbe superare il 30 per cento dei voti. Questo signore si presenta sul palco in camicia nera fuori dai pantaloni – una mise che offre tutto il necessario per inquadrarlo – e chiama a raccolta i diseredati e i falliti. Per un’ora e mezza parla di politica, inneggia al suo movimento, attacca i partiti, i giornali, le banche; dice che le elezioni sono una presa in giro, tanto vale ricorrere al sorteggio, perché gli italiani per metà si astengono e per metà praticano il voto di scambio, e soprattutto perché “è finita questa democrazia che sa di pesce rancido”.

 

Su Netflix il comizio è catalogato come cabaret (con la precisazione: “irriverente”), “un comedy special che celebra il ritorno di Beppe Grillo al mondo dell’intrattenimento”. La Stampa di Torino – prendete nota, storici del naufragio – saluta la diffusione di questo attacco al pesce rancido della democrazia come “una buona notizia”, e dice che è il primo show italiano di stand-up comedy, insomma qualcosa di simile, se non a Karl Valentin, a George Carlin: “Da una parte l’indefesso sfottitore, difensore di italiche libertà e umorista d’annata; dall’altra, il fondatore del Movimento 5 Stelle, il papà della rivoluzione dal basso, l’Io tonante del sacro blog”. Nel truce comizio, in effetti, Grillo si sdoppia: il politico in giacca e cravatta è un faccione su uno schermo gigante; il comico in camicia sta giù sul palco ed esorta perfino la platea a mandare un sonante vaffanculo al suo alter ego inamidato. Vuol essere al tempo stesso il Grande Fratello e il trotzkista Goldstein di “1984”, il dittatore Adenoid Hynkel e il barbiere ebreo del film di Chaplin, il presidente che fa il discorso di fine anno e il comico che ne fa la parodia.

 

Che Grillo voglia ingarbugliare i registri è naturale: sa bene che fare la parte del comico quando lo si interpella come politico e indossare i panni del politico quando lo si ascolta come comico è il modo migliore per rendersi perennemente irresponsabile. Meno naturale – nonché imperdonabile – è che buona parte del sistema dell’informazione gli abbia consentito di giocare per anni questo gioco torbido; e che oggi ci sia qualcuno così annebbiato da gabellare un comizio estremista per uno spettacolo di satira. Ma quando una società e i suoi ceti dirigenti scelgono la via del suicidio, possono capitare di queste confusioni. Dopo l’incendio del Reichstag, le poche sedute del Parlamento tedesco si tennero in un teatro dell’opera, il Kroll di Berlino. Qui andrà a finire che occuperanno di nuovo il Teatro Valle, e Netflix trasmetterà le dirette aventiniane in un reality avvincente. Titolo: “All’osteria del pesce rancido”. Da un’idea di Rocco Casalino.

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