Il duca di Cambridge al London 2016 Founders Forum a Watford (foto LaPresse)

Nel Regno Unito c'è un problema serio: mancano gli automi

Francesco Maselli

Un paper spiega che il ritardo tecnologico costerà caro all’economia britannica e perché i robot sono una “benedizione”

Roma. Una delle preoccupazioni che accompagna il crescente sviluppo tecnologico è che l’automazione distruggerà irrimediabilmente milioni di posti di lavoro. Secondo alcuni, però, è vero il contrario. Un paper del think tank britannico Center for policy studies spiega perché l’economia contemporanea abbia bisogno di più robot, non meno. Il Regno Unito per esempio, paese oggetto dello studio, in questo momento non ne ha abbastanza rispetto alle altre economie dei paesi sviluppati, condizione che contribuisce al ritardo che l’economia britannica sta accumulando. La produttività nel Regno Unito è inferiore di circa il 20 per cento rispetto alla media dei paesi del G7, e questo problema è accentuato dalla mancanza di robot: la Germania, che è un paese in forte crescita e con un basso tasso di disoccupazione, impiega 301 robot ogni 10 mila lavoratori, il Regno Unito soltanto 71. Sintomo, secondo il Cps, di un’economia non capitalizzata a sufficienza.

 

I rischi per l’occupazione esistono, ma l’automazione non è soltanto distruttiva. Uno studio di Deloitte, citato dagli autori, riporta che nel Regno Unito, nel periodo che va dal 2001 al 2015, la tecnologia ha distrutto 800 mila posti di lavoro e ne ha allo stesso tempo creati circa 3,5 milioni. Tra l’altro, continua il Cps, c’è molta incertezza sulla quantità di posti di lavoro davvero a rischio. Stando al solo Regno Unito, i mestieri che saranno distrutti dalla tecnologia costituiscono il 35 per cento dei posti di lavoro totali secondo Carl Benedikt Frey and Michael Osborne della Oxford University, ma meno del 10 per cento per l’Ocse. Difficile stabilire chi ha ragione: “La categoria di ‘lavoro a rischio’ ignora la distruzione creativa nel mercato. Ogni anno nel Regno Unito il 10 per cento dei lavori è distrutto, ma un altro 10 per cento è creato (anzi negli ultimi anni, visto il record impressionante di occupati raggiunto dal paese, molti di più)”.

 

Il think tank di ispirazione conservatrice e fondato, tra gli altri, da Margaret Thatcher, è critico inoltre verso le proposte molto radicali nei confronti dell’automazione avanzate dal Labour di Jeremy Corbyn, che in questo momento si sta facendo portavoce delle “preoccupazioni sull’impatto dell’automazione sui posti di lavoro che si propagano sempre di più”.

 

Il Cps cerca di rispondere alle soluzioni avanzate per assorbire l’impatto dell’automazione, come per esempio le tasse sui robot, un’idea molto popolare anche tra gli imprenditori di grandi aziende digitali, tra cui Bill Gates, fondatore di Microsoft. “Tassare i robot non proteggerà i posti di lavoro. Al contrario, impedire la meccanizzazione sopprimerà la crescita della produttività, deprimerà l’aumento dei salari e incoraggerà l’attività economica a scappare altrove, riducendo così la base imponibile da tassare per pagare i servizi pubblici”. Inoltre, continua il think tank, i vari appelli per un reddito universale che possa assorbire la disoccupazione creata dai robot sono prematuri e non risolverebbero il calo del potere d’acquisto della classe media: “Il reddito universale sarebbe molto costoso e distorsivo per il mercato del lavoro”.

 

Insomma, è ancora molto complicato capire i settori dove l’automazione causerà problemi occupazionali e sociali, e le riflessioni sulle conseguenze sono necessarie. Tuttavia, sostengono gli autori, il miglior modo per farsi trovare preparati è promuovere un sistema educativo e di formazione che possa assistere i lavoratori meno qualificati e in alcuni casi ricollocarli in altre aree. “In questo momento, l’automazione si avvicina molto più a una benedizione che a una maledizione per il Regno Unito”, conclude lo studio.

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