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Perché la grande paura tech dovrebbe essere sostituita da un cauto ottimismo

Eugenio Cau

La presentazione del nuovo iPhone e l'evidenza che chi teme i cambiamenti non sa governarli

Roma. C’è stato un periodo in cui gli avanzamenti tecnologici erano ragione di speranza. Oggi sembra che il ruolo principale della tecnologia sia quello di ucciderci, sostituire la razza umana, deprimerci o, nel migliore dei casi, rubarci il lavoro. Per i leader politici, la tecnologia va trattata con sospetto e governata con polso di ferro. I pensatori vedono nei cambiamenti antropologici provocati da internet e smartphone una minaccia. Le banche sanno che è questione di tempo prima che un gruppo di hacker rubi tutti i dati (e magari i risparmi) dei loro clienti. Perfino i grandi imprenditori tech mettono in guardia dalle proprie invenzioni: Bill Gates è sicuro che i robot ruberanno il lavoro agli umani, Elon Musk vuole difenderci dalla minaccia esiziale causata dall’intelligenza artificiale. Ogni anno che passa le fobie aumentano – e il 2017, almeno per ora, è stato l’anno peggiore di tutti. “Il grande panico tech del 2017”, l’ha ribattezzato Wired America nella copertina del numero di settembre, mettendo in fila tutti gli eventi che terrorizzano e inquietano il pensiero di un futuro digitale. Molti hanno prodromi più antichi. Nel 2013 il caso Snowden ci ha insegnato che, per quanto riguarda la riservatezza delle vite online dei cittadini, non ci si può fidare né della Silicon Valley né dei governi. Gli hackeraggi sempre più cruenti di aziende, banche e istituzioni sono andati montando negli anni. Le preoccupazioni sull’intelligenza artificiale sono frutto di lunghe riflessioni. Il timore che la macchina che si guida da sola possa impazzire e iniziare a stirare pedoni esiste da un po’. Ma nel 2017, che è anche l’anno della grande rivolta politica del nuovo populismo contro gli establishment di tutti i tipi, questa mancanza assoluta di confidenza sembra essersi trasformata da insieme sparso di fobie a sentimento comune. Da un lato la parola “robot” fa tremare l’operaio, dall’altro psicologi, storici e filosofi hanno iniziato a condividere la paura per la mutazione antropologica in corso. Non c’è più il solito Evgenij Morozov a fare il profeta di sventura. Menti anche più preparate della sua hanno iniziato a illustrare i tanti mali della nuova èra.

Certo preoccuparsi è sano. Mettere in guardia chi pecca di entusiasmo da ogni possibile degenerazione è giusto. Ma prima di inoltrarci nella distopia ricordiamoci che il grande cambiamento in corso si può governare, ma non invertire. E la paura, in questo caso, è controproducente. Prendiamo la paura per l’intelligenza artificiale. Gli stessi imprenditori che mettono in guardia dai pericoli dell’Ai investono centinaia di milioni di dollari in ricerca sul campo. Fanno predizioni catastrofiche e poi lavorano per farle avverare? No, hanno fiducia che qualunque problema si presenterà, anche il peggiore, saranno in grado di risolverlo. La grande paura tech dovrebbe essere sostituita da un cauto ottimismo.

Eugenio Cau

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.