La sede centrale di Google a Mountain View, California (Foto Ap)

Cosa dice dei problemi della Silicon Valley il "manifesto anti diversità" di Google

Eugenio Cau

Tra discriminazione e politicamente corretto

Roma. Il “manifesto anti diversità” scritto da un ingegnere di Google ha rinfocolato negli ultimi giorni il dibattito dentro alla Silicon Valley su sessismo, inclusione e politicamente corretto. Il caso, svelato dai siti Motherboard e Gizmodo alla fine della settimana scorsa, è diventato celebre in poche ore: un anonimo ingegnere di Google, di cui si sa solo che è maschio ed è bianco, ha pubblicato su uno dei sistemi di comunicazione dell’azienda una lunga ricusazione delle politiche di inclusione e di incentivo all’occupazione delle donne applicate dalla casa di Mountain View, usando argomenti come la biologia e la psicologia per giustificare il fatto che il rapporto tra ingegneri maschi e ingegneri femmine a Google è di cinque a uno (il 20 per cento degli impiegati “tech” di Google è donna; la percentuale cala quando si parla della dirigenza) e che mediamente gli uomini sono pagati più delle donne. Al contrario di altri che hanno criticato gli argomenti dell’inclusione nella Silicon Valley sul versante della veridicità dei dati, l’anonimo ingegnere non nega il fatto che il trattamento tra uomini e donne sul posto di lavoro sia discriminante, anzi, lo rivendica: noi uomini bianchi siamo di più a Google e siamo pagati di più perché intrinsecamente siamo ingegneri migliori, dice. Ovviamente, il post ha scatenato un polverone di condanne e di contro-post – come è giusto che sia, in quanto le tesi dell’anonimo ingegnere sono sballate e smentite dalla ricerca scientifica. Danielle Brown, vicepresidente per la diversità di Google, ha scritto un messaggio di condanna particolarmente duro.

 

Ma i media americani che si sono occupati del caso, a partire dai due che l’hanno svelato, hanno titolato tutti così i loro articoli al riguardo: un ingegnere di Google ha scritto un manifesto anti diversità ed è diventato virale dentro all’azienda. Il titolo è un classico titolo acchiappa clic, ma è vero: sabato, a un certo punto, il sistema di comunicazione interno a Google non ha retto perché troppi dipendenti stavano cercando di scaricare il manifesto per leggerlo. Alcuni lo hanno condannato ma molti lo hanno approvato almeno in parte, e su Twitter era pieno di commenti del tipo: “Sono un dipendente di Google e conosco molti colleghi che sono d’accordo con parte delle tesi del manifesto”. Un giornalista ha scritto sempre su Twitter di essere riuscito a entrare in contatto con l’anonimo autore del manifesto, e che lui ha detto di aver ricevuto più messaggi di sostegno che di condanna. Non è possibile confermare quest’ultima informazione, ma è plausibile, e molte inchieste dei media negli ultimi giorni hanno rivelato che un buon numero di impiegati di Google è stanco delle politiche di integrazione e della retorica pro diversity dell’azienda.

 

Sta succedendo qualcosa all’immagine che la Silicon Valley è abituata a emanare all’esterno, l’immagine di un posto liberal e inclusivo dove ciascuno è rispettato per ciò che è e valutato in base al merito oggettivo. Gli scandali di discriminazione sessuale hanno investito Uber (dove il fondatore e ceo Travis Kalanick è stato costretto a dimettersi), Tesla, perfino Google, contro cui questa primavera il dipartimento del Lavoro ha aperto un’indagine per l’eccessiva disparità delle paghe. A occhio, viene da pensare che la Silicon Valley abbia un problema con le donne. Al tempo stesso, però, la risposta della dirigenza della Valley a questi problemi è stato instaurare un clima pesante di politicamente corretto, e questo ha scatenato reazioni opposte – alcune becere come l’ultimo manifesto, altre più controverse e capaci di suscitare polemiche sull’estensione della libertà di espressione, come il caso del ceo di Firefox, Brendan Eich, costretto a dimettersi nel 2014 per le sue posizioni contro le unioni omosessuali.

 

Il gran sostegno al manifesto anti diversità mostra che nella Silicon Valley brulica un pensiero in controtendenza, e che l’immagine che la Valley vorrebbe dare di sé in realtà è strattonata da due opposte tendenze: da un lato lo scandalo per i casi di sessismo, dall’altro la dissidenza sempre più forte nei confronti del politicamente corretto. Il risultato, almeno per ora, è che stanno emergendo correnti carsiche di malcontento nelle società utopiche ingegnerizzate dai tecnocrati dei social.

 

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.