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Pubblicità e internet media, è una questione di qualità

Eugenio Cau

I media online potranno sopravvivere e prosperare solo se la pubblicità inizierà a premiare i contenuti migliori. Cosa dice il nuovo report dell'Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano

Milano. Internet costituisce un'opportunità economica gigantesca - e fin qui ci siamo tutti. Guardate le trimestrali di Apple e di Google e il concetto risulta banale. Ma nonostante le trimestrali miliardarie, nonostante gli introiti che si decuplicano di anno in anno, internet costituisce ancora un insieme di potenzialità economiche inespresse - specie nel settore internet media e specie in Italia. È quello che emerge - tra le righe - dagli ultimi dati presentati dall'Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano nell'ambito di un convegno tenutosi oggi nella sede storica del Politecnico.

 

Iniziamo dai numeri. Secondo l'ultimo report dell'Osservatorio, il mercato italiano dei media (digitali e tradizionali, a pagamento e basati sugli introiti pubblicitari) ha ricominciato a crescere per la prima volta nel 2016 dopo tre anni di calo e stallo. Cresce la TV tradizionale (8 per cento), ma crescono soprattutto i media online (11 per cento). Crollano gli introiti della stampa, e questa non è una novità.

Il problema è che se si va a vedere come è suddiviso questo mercato da 15,8 miliardi di euro, la vecchia TV rimane la forza di gran lunga predominante. Il mezzo televisivo vale il 50 per cento del mercato totale, internet il 30 per cento, la stampa il 15 per cento e la radio il 5. Quando si parla del tempo dedicato a ciascun utente ai vari servizi, internet rivaleggia con la TV, ma ricava poco più della metà degli introiti.

 

Nonostante la crescita, nonostante le quote di mercato rosicchiate di anno in anno, gli internet media sono dei performer ancora deludenti: ottengono meno pubblicità di quanto dovrebbero e potrebbero.

 

Si guardi la situazione delle media company (cioè le aziende giornalistiche, televisive, cartacee o digitali). Il valore del mercato delle media company su internet è aumentato del 40 per cento in un anno. L'aumento dal 2012 al 2016 è di 100 milioni di euro. Notevole, peccato che nel frattempo gli introiti della media company nel campo non online (vendite di giornali e così via) siano crollati nello stesso periodo di 600 milioni. È una storia che conosciamo: il digitale non riesce ancora a rimpiazzare le perdite pubblicitarie dei media tradizionali.

 

E dunque qual è la soluzione? Ci sono diverse ipotesi è una sola certezza: tutto inizia dalla misurazione. Il convegno dell'Osservatorio del Politecnico parte esattamente da qui. "E' ora di misurarsi" era il titolo dell'evento che ha riunito esperti di marketing e accademici legati al mondo del business, delle startup e ovviamente dei media. Le opportunità e i problemi del mercato della pubblicità online nascono tutti da qui, dal fatto che sul digitale esiste ancora una molteplicità di modi di capire se una pubblicità funziona - di misurarla, appunto -, e non tutti funzionano allo stesso modo né funzionano bene.

 

Non è una questione di lana caprina da esperti di marketing che usano troppi inglesismi. I giornali come quello che state leggendo si basano sulla pubblicità. E mentre il mercato si sposta sempre più sull'online, tutti i giornali del mondo si chiedono a continuare ad attrarre la stessa pubblicità anche se la torta è diventata sempre più piccola. Questo influenza direttamente la qualità delle testate e delle singole notizie. I fenomeni del click baiting, le gallery di tette e gattini, i video stupidi che riempiono internet nascono tutti dalle difficoltà di misurare l'efficacia della pubblicità online.

  

Gli esperti e gli accademici del Politecnico hanno presentato centinaia di dati è dimostrato decine di tecniche, ma uno degli elementi più interessanti emersi dal convegno è l'insufficienza di fondo delle tecniche di misurazione numeriche. Si può personalizzare e "targetizzare" fino alla punta dei capelli, ma la sfida è inserire degli elementi di qualità e delle dinamiche di senso nel modo in cui la pubblicità è misurata.

  

Alla fine, dunque, il ragionamento altamente tecnico si semplifica: c'è un'esigenza, pubblica e di mercato, di contenuti di qualità. Per rendere questi contenuti sostenibili, è necessario che la pubblicità impari a misurare la qualità. Solo così si può creare un circolo virtuoso.

  

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.