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I Big Data possono risolvere il traffico in città. Ma c'è un problema di privacy

Giovanni Battistuzzi

Il ministro dei Trasporti tedesco vorrebbe rendere personali i dati che le automobili forniscono automaticamente alle case di produzione. Questo potrebbe rallentare il progresso tecnologico. Parla Ames Varzi, ex Mercedes e Bmw

L’idea di regolare per legge la proprietà dei dati tecnici che raccolgono le automobili è alla base di un documento del ministero federale dei Trasporti tedesco, anticipato la scorsa settimana dal Welt. Le centraline elettriche di tutte le automobili in circolazione raccolgono automaticamente dati come chilometraggio, consumi, velocità medie, che sono utilizzati dalle singole case costruttrici. Nei piani del ministro Alexander Dobrindt questi dati dovrebbero essere equiparati a “oggetti” per creare in questo modo i presupposti per la trasformazione di quanto raccolto “in proprietà personale di chi acquista un’autovettura” e quindi dare la possibilità ai proprietari “di decidere del loro utilizzo”. L’auspicio di Dobrint è quello di “creare valore collettivo”, ossia promuovere la creazione di banche dati aperte al fine “di utilizzare il potenziale per la pianificazione del traffico e il suo controllo intelligente”, oltre che a dare a chiunque la possibilità di sfruttare i dati per il miglioramento dell’efficenza delle autovetture e la diminuzione di consumi e inquinamento. Banche date condivise che potrebbero essere essenziali, secondo il ministero, nel progresso della ricerca tedesca in materia di auto a guida autonoma.

 

“I piani di Dobrindt sono ambiziosi e almeno nella teoria positivi. Il problema è mettere in pratica la legislazione”. Ames Varzi è un ingegnere informatico, lavora per un gruppo americano che si occupa di analisi dati, ha un passato in Mercedes e Bmw e per anni si è occupato del miglioramento dell’efficienza dei motori dei due marchi automobilistici. “Il problema a monte della proposta non è solo tecnico o legislativo, è soprattutto politico, è cioè legato all’opinione pubblica, a quello che si potrebbe chiamare populismo informatico”. Secondo Varzi il dibattito attorno a questi temi incontra un problema “al momento insormontabile”, ossia “una fobia del tutto ingiustificata nei confronti dei Big Data”.

 

Se si considerano i dati di una ricerca dell’Università di Lione del 2016 sull’utilizzo di internet e sul concetto di privacy in Europa si scopre che più della metà (52 per cento) delle persone interpellate (circa 12mila) si dice preoccupate per un possibile utilizzo fraudolento dei propri dati personali, che il 50 per cento del totale non accetterebbe di diffondere i suoi dati, anche se anonimi, nemmeno al fruitore del servizio, e il 76 per cento non sarebbe disposto a concederli a banche dati pubbliche e consultabili da chiunque, nemmeno se questi servissero a migliorare il progresso collettivo. “C’è una fobia ingiustificata, o almeno non totalmente giustificabile, attorno ai dati”, sottolinea Varzi. “Pensate cosa scatenerebbe la decisione del ministro dei Trasporti tedesco: solo un’esigua minoranza sarebbe disposta a condividere ciò che l’automobile rileva. E questo sarebbe un problema”.

 

Un problema soprattutto per quanto riguarda il progresso. “L’automobile si sta evolvendo, i mezzi che guidiamo ora sono più sicuri, più tecnologici, più performanti, meno inquinanti. Questa è una certezza. Ma è un fatto che ha alle spalle decenni di studi, di analisi di dati, di miglioramenti tecnologici dovuti a queste analisi. Pensare che bastino i progetti e i test su pista e strada a creare progresso è sbagliato. Le automobili – continua – migliorano perché all’uscita dalla fabbrica vengono testate da tutti gli automobilisti che rimandano i dati alle aziende che li studiano, li interpretano e grazie a questi permettono alla ricerca di progredire”.