Foto di Luc Legay via Flickr

Ansia o autostima? Così le scienze sociali provano a capire i social network

Antonio Grizzuti

Una parte della letteratura scientifica attribuisce ai social media un ruolo positivo; allo stesso tempo però diverse ricerche hanno messo in luce la loro capacità di generare stress e isolamento sociale

Simon Sinek è un celebre speaker motivazionale britannico, è autore di diversi libri e tiene conferenze in giro per il mondo, una delle quali è diventata una delle presentazioni TED più popolari di sempre. Da qualche mese gira in rete un video che dura circa un quarto d’ora nel quale descrive appassionatamente virtù e limiti dei millenials, la generazione dei nati tra i primi degli anni Ottanta e la fine dei Novanta. Durante il suo monologo Sinek parla della dipendenza dai social network equiparandola a quella provocata dal fumo, dagli alcolici e dalle scommesse. L’accesso compulsivo ai social per verificare i “mi piace” ricevuti da un post, il sentirsi seccato perché qualcuno ha fatto unfollow, il batticuore perché alla doppia spunta blu non corrisponde un’immediata risposta, sono segni magari a prima vista trascurabili ma non insignificanti che dimostrano l’impatto di questi strumenti sulle nostre vite.

La diffusione dei social network sembra inarrestabile: se nel 2010 gli utenti erano circa un miliardo, oggi se ne contano più del doppio, un numero destinato a crescere fino a sfiorare i tre miliardi di utenti nel 2020. Non sorprende dunque che, visti i numeri in gioco, una folta schiera di scienziati ha ritenuto opportuno studiare a fondo il fenomeno, nel tentativo di capire quali implicazioni esso porti con sé. Una parte della letteratura scientifica concorda nell’attribuire ai social media un ruolo positivo, vista la loro capacità di amplificare la abilità relazionali degli utenti e contribuire così al benessere sociale. D’altro canto, alcune ricerche accademiche hanno messo in luce il carattere sempre più pervasivo dei nuovi mezzi di comunicazione sociale facendo emergere la loro capacità di generare stress e, paradossalmente, isolamento sociale.

 

Un recente studio pubblicato da un gruppo di ricercatori guidato dalla professoressa Andreassen dell’Università di Bergen, basato su un campione di oltre ventitremila partecipanti con un’età compresa tra i sedici e gli ottantotto anni, ha dimostrato la correlazione positiva tra l’uso di social network e videogiochi e patologie come iperattività, deficit di attenzione, disturbo ossessivo-compulsivo, ansia e depressione. Lo studio ha evidenziato una correlazione diversificata per i soggetti di sesso maschile, più esposti a depressione e dipendenza da videogiochi, e quelli di sesso femminile, nei quali sembrerebbe più frequente l’associazione tra uso compulsivo dei social e ansia. Sulle fasce di età a rischio i risultati sono invece chiari: i più esposti ai rischi di dipendenza risultano i giovani.

 

La conferma di questa tendenza arriva da un’altra recente pubblicazione realizzata da ricercatori del Connecticut Children’s Medical Center e dell’Università del Connecticut, la prima a prendere in considerazione la correlazione tra uso dei social media e ansia esclusivamente sui soggetti di giovane età. A tutti i partecipanti, età media vent’anni, è stato chiesto di indicare il numero di ore spese sui social durante la giornata, la frequenza e l’intensità di sintomi correlati all’ansia. Il primo fattore che salta agli occhi è l’enorme quantità di tempo dedicato alla consultazione dei profili: una media di oltre sei ore al giorno, con un uso maggiore da parte dei ragazzi rispetto alle coetanee. Lo studio ha inoltre rivelato una correlazione positiva tra un maggior numero di ore passate sui social e l’insorgere di sintomi legati all’ansia. Questo risultato secondo gli autori sarebbe causato dai feedback negativi ricevuti e dal fenomeno del cyberbullismo, dal maggiore coinvolgimento negli eventi negativi che riguardano gli altri e alla pressione legata alla necessità di mantenere costantemente aggiornati i propri profili. Visti da un’altra prospettiva i risultati potrebbero essere letti come la tendenza all’utilizzo compulsivo dei social media da parte di giovani già di per sé ansiosi. Come già emerso in altri studi infatti la ricerca disperata di “like” può servire ad aumentare l’autostima o quantomeno ridurre la propria insicurezza.

 

Ma attenzione a non buttare il bambino con l’acqua sporca: gli scienziati riconoscono ai social media un ruolo importante nel processo di socializzazione delle nuove generazioni. La differenza è quella che passa tra una birra al bar con gli amici e una colossale sbronza: come al solito ciò che conta è un utilizzo responsabile.

Di più su questi argomenti: