L'impianto di Google nella Silicon Valley

Il senso dell'Italia per la Silicon Valley

Michele Masneri

Molto stato, poche grandi imprese, dice il rapporto Mind the Bridge

Quante divisioni ha l'Italia in Silicon Valley? Due. Sono infatti solo due le grandi aziende italiane nel distretto mondiale dell'innovazione. La fotografia assai impietosa si ricava dal primo rapporto "European corporation innovation outposts in Silicon Valley" presentato oggi a San Francisco da Startup Europe Comes to Silicon Valley (SEC2SV) e Mind the Bridge.

  

Il rapporto mostra come su 44 grandi società europee di stanza qui, solo due siano italiane. C'è Enel, arrivata qui solo ieri con l'iperattivo Ernesto Ciorra, responsabile Innovazione e sostenibilità dell’azienda, che all'università di Berkeley ha aperto un suo acceleratore (tradotto, cerca startup da far crescere e da cui attingere innovazione). Poi c'è Luxottica, che presidia il mercato degli occhiali - possiede i marchi Oakley e poi Oliver People's, gli occhiali più hipster d'America, ma naturalmente nessuno lo sa, qui, dove molti sono convinti che Nespresso sia italiana e nessuno crede che Technogym lo possa essere (figuriamoci se gli italiani possono essere leader in settori così tecnologici, che non riguardino prosciutti o caffettiere).

 

Poi basta. Italiani, non pervenuti. Germania e Francia con quasi il 65% degli avamposti si spartiscono praticamente la valle, la prima con 15 uffici e la seconda con 11, davanti a Regno Unito (11%), mentre i rimanenti posti in piedi vanno spartiti appunto tra Italia (due presenze, 5%) e poi Spagna, Svezia, Svizzera, Olanda e Finlandia. 

 

Anche scorrere l'elenco delle aziende fa abbastanza impressione, si va dalla A di Audi alla V di Volkswagen (non a caso, il comparto automobilistico è forse il più promettente, qui vengono studiate le auto senza conducente di Google e Uber, qui c'è Tesla. Il settore rappresenta il 18% degli uffici). In mezzo, i migliori nomi soprattutto francesi e tedeschi di finanza, tecnologia, energia, tedeschi e francesi.

 

Per una volta, poi, la débâcle italica non si può imputare allo Stato: nella patria del vituperato neolibberismo, San Francisco che si conferma capitale di Silicon Valley (32 per cento delle imprese sono qui basate, secondo il rapporto), ha una tradizione di consoli efficienti e pro-mercato; quello appena uscito è ora il consigliere diplomatico di Carlo Calenda, quello attuale punta a creare un centro italiano per l'innovazione, come hanno Germania e Francia. L'Ice ha appena aperto una sua unità, affidata non a un boiardo bollito ma a un ex top manager di Blackberry, Alberto Acito.

 

Le aziende intanto che fanno? Molto turismo hi tech, con molte startup che vengono a fare photo opportunity con sfondo le insegne di Facebook o Twitter. Del resto anche la logistica non aiuta, l'Italia è anche l'unico paese G7 a non avere un volo diretto con Silicon Valley. Ma saranno certamente gli altri che sbagliano, del resto anche quando il povero  Renzi è venuto qui il mese scorso è stato subito imbruttito e consigliato di recarsi invece a Quarto Oggiaro o Frosinone; luoghi notoriamente di grande produzione di futuro, oltre che di Pil.

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