Jeff Bezos (Foto LaPresse)

Il dispositivo Amazon che può risolvere un caso di omicidio e la nostra idea di privacy

Piero Vietti

Dopo mesi di battaglia legale la società di Jeff Bezos consegnerà alle autorità le registrazioni audio fatte da un modello di Echo presente nella casa di un presunto omicida

Come nel romanzo di Dave Eggers “The Circle”, o in una puntata della serie tv “Black Mirror”, presto la tecnologia che usiamo potrebbe spiarci e far sapere alle autorità se e quando non rispettiamo la legge. Proprio ieri Wikileaks ha divulgato oltre 8 mila file che dimostrerebbero che la Cia aveva sviluppato strumenti di hackeraggio per violare computer, smart tv, smartphone e altri device di uso comune. In attesa di capire quanto sia vero, c’è una storia che arriva dagli Stati Uniti che apre nuovi scenari sul ruolo della tecnologia nella nostra privacy.

In Arkansas, Amazon ha appena abbandonato una battaglia legale intrapresa mesi fa per impedire alla polizia di ascoltare quello che l’assistente virtuale Alexa aveva registrato da un dispositivo Echo presente nella casa di un uomo accusato di omicidio. Echo è un altoparlante da salotto del tutto simile a quelli presenti sugli smartphone, mentre Alexa è il software che fa da assistente personale virtuale grazie al riconoscimento vocale e all’intelligenza artificiale. James Bates è accusato di avere ucciso una persona a casa sua. Grazie all’analisi di un contatore intelligente, le autorità hanno verificato che la notte dell’omicidio è stata utilizzata molta acqua da un tubo da giardino sul patio della casa – per pulire il sangue, sospettano.

 

A casa di Bates è presente un dispositivo Echo che, ipotizzano gli investigatori, potrebbe avere registrato qualcosa di quanto successo quella notte. Echo infatti non si attiva solo con determinati comandi vocali, ma a volte si accende per errore e invia quanto registrato ai server di Amazon. La società di Jeff Bezos si è rifiutata di consegnare questi dati alle forze dell’ordine (ma ha dato loro la cronologia degli acquisti online di Bates) appellandosi al primo emendamento della Costituzione americana, quello che tutela la libertà di parola. Prima che il governo possa accedere ai dati, questa la difesa di Amazon, deve dimostrare di non essere in grado di reperire altrove informazioni utili alle indagini e che la necessità di ottenere le registrazioni sia impellente.

 

Qui però c’è il colpo di scena, perché a chiedere che gli investigatori possano accedere alle informazioni di Echo è stato lo stesso James Bates, convinto in questo modo di potere dimostrare la propria innocenza (lui sostiene che durante l’omicidio stava dormendo): alcuni testimoni hanno detto che durante la serata a casa sua la musica era molto alta, e questo presupporrebbe che Alexa fosse impostata su off. Ma come detto, il sistema operativo di Echo registra frammenti di conversazioni anche quando si pensa sia offline. Dopo la richiesta di Bates, Amazon ha rinunciato alla sua difesa, e darà ai legali e agli investigatori i dati che chiedono. Creando così un precedente dai risvolti imprevedibili: Echo potrebbe sì salvare Bates dalla condanna, permettendo però alla giustizia di sbirciare ben oltre il buco della serratura, lasciandola frugare tra le nostre conversazioni private a posteriori. Un’intercettazione permanente, che un giorno potrà salvarci o inchiodarci. Tutto quello che abbiamo detto, comprato e fatto potrà essere usato contro di noi. Facendoci fare un passo ulteriore verso una società che controlla tutto. Siamo osservati e ascoltati: nel dubbio, meglio non fare nulla di cui potremmo pentirci.

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.