Mark Zuckerberg (Foto LaPresse)

Così Zuckerberg rivendica il suo sogno di connessione globale

Eugenio Cau

In una lettera che è rifiuto delle forze del protezionismo e ammissione di colpa, il fondatore di Facebook spiega il suo piano

Roma. “Facebook sostiene l’idea di mettere insieme tutta l’umanità e di costruire una comunità globale. Quando abbiamo iniziato, questa idea non era controversa. Ogni anno il mondo diventa sempre più interconnesso e questo era visto come un trend positivo. Ma adesso, in tutto il mondo ci sono persone lasciate indietro dalla globalizzazione, e movimenti che chiedono di ritirarsi dalla connessione globale. Ci si chiede se davvero sia possibile creare una comunità globale che funzioni per tutti, e se il cammino che abbiamo davanti sia di connettersi di più o, al contrario, di invertire il processo”. Mark Zuckerberg, fondatore e ceo di Facebook, è forse il singolo uomo che più di ogni altro nell’ultimo ventennio ha contribuito alla globalizzazione delle idee e alla democratizzazione delle opinioni. Il motto di Facebook, la sua “mission” contenuta nella prima lettera di fondazione del social network e diventato un tormento per giornalisti ed esperti, è sempre stato: “Dare alla gente il potere di condividere e rendere il mondo più connesso e aperto”.

 

In quasi 13 anni, Facebook ha raggiunto il suo sogno di connessione globale: quasi due miliardi di persone usano Facebook in maniera attiva, Zuck ha esteso sul mondo una rete fitta e complessa che ha nella Cina il suo unico punto vuoto. Ma con il passare del tempo, la globalizzazione gli è scivolata dalle dita, come sembra scivolata dalle dita dell’élite mondiale. Il sogno di connessione totale di Zuckerberg sembra in pericolo, e Facebook stesso da alfiere della globalizzazione è diventato uno dei suoi nemici, veicolo di messaggi polarizzanti e strumento perfetto per le manipolazioni mediatiche di populisti, mercantilisti, isolazionisti.

 

La “founder’s letter”, la lettera del fondatore, solitamente viene aggiornata tutti gli anni dai grandi imprenditori tecnologici della Silicon Valley, per rispondere alle sfide del momento, ma Zuck non l’aveva mai fatto prima, fedele al suo vangelo della connessione. Giovedì notte, dopo oltre un decennio, Zuckerberg ha pubblicato la sua seconda lettera del fondatore, che è al tempo stesso una difesa della sua visione, un rifiuto delle forze dell’isolazionismo e una ammissione di colpa.

 

Il ragionamento di Zuckerberg è stato interpretato come un rifiuto delle politiche del presidente americano Donald Trump, e certamente le elezioni americane, il loro risultato sconvolgente, lo scandalo delle fake news che ne è seguito sono stati per moltissimi il sintomo che qualcosa non funzionava in Facebook, nonostante le sonore smentite di Zuck. Ma la lettera del fondatore va oltre Trump, che è un sintomo, e cerca di curare il problema sistemico: come mantenere il sogno di un’umanità unita senza risvegliare i mostri del protezionismo e dell’isolazionismo che si sono scatenati in questi anni? Per ragioni di idealismo e di portafoglio, Zuckerberg non può permettere che il mondo si ritragga in se stesso, ma il mito della connessione totale non sta funzionando: nel suo piccolo – per quanto si possa parlare di piccolo – Facebook vive lo stesso dilemma della comunità globale.

 

A giudicare dalla lettera idealistica ma scarna di particolari di Zuck, la soluzione proposta dal fondatore di Facebook è un cambio di paradigma: dalla connessione alla comunità. La missione di Facebook non sarà più quella di creare connessioni purchessia, ma “sviluppare un’infrastruttura sociale per dare alle persone il potere di costruire una comunità globale che funzioni per tutti”. “Che funzioni” è l’elemento più interessante: Facebook è già una gigantesca comunità, ma disfunzionale. Renderla funzionante significa fare ciò che Zuck da sempre si è rifiutato di fare: agire sul social network, intervenire per plasmare il flusso ormai fuori controllo della connettività.

 

Questo significa anche ammettere i vecchi errori, dalla disinformazione alla proliferazione delle fake news al fatto che la comunicazione su Facebook spesso “semplifica eccessivamente temi importanti ed estremizza le posizioni”. Anche casi come quello della censura della foto della bimba vietnamita, ha scritto Zuck, non dovranno ripetersi. Per creare una comunità “che funzioni” serviranno nuove regole e nuove tecnologie, per esempio grande importanza sarà data all’intelligenza artificiale. La comunità che sogna Zuckerberg sarà informata e sosterrà l’attivismo politico e la connessione tra la classe politica e l’elettorato. Sarà civile, sicura e solidale. Preferibilmente anche l’unica.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.