Facebook e Apple vanno all'assalto delle news (con successo), Google che fa?

Redazione
La Silicon Valley è alla ricerca del “modello”. Le ragioni per cui gli austeri media anglosassoni si sono concessi giulivi alle grinfie dei signori della Valley sono facili da immaginare.

Roma. Nell’ultimo anno la Silicon Valley è entrata nel mondo in crisi e spaventato dell’editoria e dei media in sella a un cavallo bianco. Mentre ovunque i lettori della carta stampata sono in calo e le rendite pubblicitarie a picco, e i migliori esperti di media si interrogano da un decennio su quale sarà il modello che salverà l’editoria, la settimana scorsa Apple pubblicava un annuncio per assumere nuovi giornalisti nella redazione del suo Apple News. Pochi giorni dopo, Twitter creava il suo team giornalistico. Facebook ha da tempo molti reporter nel suo organico. Mentre le redazioni sentono il peso della crisi, i giornali tradizionali hanno perso il loro tocco, e le loro capacità si siano trasferite nella Valley. A pensarci bene, le compagnie tecnologiche americane riescono a fare ciò in cui un tempo i giornali cartacei erano i migliori: distribuire contenuti e guadagnare soldi (una montagna di soldi) nel farlo. Se c’è un segreto, se c’è un modello, questo è passato nelle mani della Silicon Valley, e i signori della tecnologia sono lieti di concederlo, con qualche condizione, alle redazioni in preda al disordine.

 

L’annuncio, circa un mese fa, di Facebook Instant Articles è un esempio perfetto del nuovo stato di cose. Alcune delle migliori testate del mondo, tra cui il New York Times, la Bbc, il Guardian, si sono lanciate con entusiasmo in un progetto che fino a pochi anni fa sarebbe stato eretico: concedere a Facebook i loro articoli, lasciare che il social network scelga l’impaginazione, che l’algoritmo di Mark Zuckerberg decida se e quando mostrare i contenuti. Per leggere le notizie (per ora alcuni articoli pilota), l’utente non deve più cercarle sul sito del New York Times: è già tutto dentro Facebook. In maniera più tradizionale, ma ugualmente sovversiva, in autunno Apple lancerà Apple News, app che ospita gli articoli di altrettante testate celebri. Anche Twitter e Snapchat sono della partita.

 

Le ragioni per cui gli austeri media anglosassoni si sono concessi giulivi alle grinfie dei signori della Valley sono facili da immaginare, e sono spiegate bene in un articolo ampio pubblicato ieri dal Financial Times a firma di Matthew Garrahan e Hannah Kuchler. “Stiamo parlando dell’opportunità di distribuire in maniera del tutto gratuita il tuo contenuto a oltre un miliardo di persone”, ha detto Mark Thompson, ceo della New York Times Company. “Facebook ha una popolazione più grande della Cina”. Non è solo una questione di popolazione, ma anche di percentuali: nel mondo disintermediato dei media odierni, dove le notizie non sono più fruite esclusivamente sul giornale o sui siti delle testate, secondo l’American Press Institute l’88 per cento dei millennial americani e oltre la metà degli adulti con una connessione a internet legge le notizie su Facebook. Ma il tutto gratuito della Silicon Valley ha sempre un prezzo nascosto. Oltre a ovvie questioni editoriali (chi garantisce la correttezza dell’onnipotente multieditore Facebook?), i giornali su Facebook (e su Apple, Twitter e Snapchat) rischiano di perdere la propria identità, di diluire il proprio brand. Succede già adesso: quando vediamo un articolo che ci interessa non diciamo: ho letto su Facebook un articolo del New York Times, ma: ho letto un articolo su Facebook. Non ricordiamo la testata originale. E nella massa dei contenuti online, l’identità delle testate rischia così di scolorirsi, e i giornali rischiano di doversi litigare l’attenzione con siti di listicle e gossip, senza il vantaggio della loro autorevolezza. C’è chi si oppone a questa tendenza, per esempio News Corp., il cui ceo Robert Thompson ha detto al Financial Times: “Il nostro giornalismo è di qualità eccezionale e ha valore commerciale, perché dovremmo concedere questo valore immenso a dei format indeterminati che trasformano i contenuti in una commodity?”. Ma chi si ribella all’ondata del giornalismo-commodity deve trovare in fretta un’alternativa, o rischia di rimanere fuori dall’ennesima rivoluzione munifica dei signori della tecnologia.

 

[**Video_box_2**]In questa nuova corsa ai media per ora c’è un grande escluso, Google. Mentre i concorrenti blandiscono gli editori e creano strumenti di disintermediazione, Mountain View guarda a questi trend apparentemente impassibile. Google è ancora il dominatore delle news online, il 41 per cento dei click che arrivano sui siti di informazione viene dal motore di ricerca, ma i social network stanno mangiando quote di mercato a velocità impressionanti (36 per cento dei click). La fruizione attraverso mobile, la crisi della pubblicità online, il potere di coinvolgere i lettori che si sposta verso i social network stanno facendo in modo che Google rischi di perdersi le news. La compagnia ha adottato delle contromisure, in Europa e in Italia, e anche per blandire le autorità comunitarie, ha avviato partnership, promesso finanziamenti e know how. Ma gli editori spaventati sono in cerca del Modello, non solo degli spiccioli della Silicon Valley. Google News è vecchio di dieci anni – gli stessi del crollo dell’editoria – e non basta più.

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