Il ceo e fondatore di Uber, Travis Kalanick (foto LaPresse)

Bunga Bunga per Uber, arrivano le startup etiche

Michele Masneri

La società è presa di mira non dai giudici ma dai media. Ormai procede di scandalo in scandalo, e il ceo e fondatore Travis Kalanick è pronto a un passo indietro

San Francisco. Ormai manca solo il vulcano finto e il fotografo Zappadu. Nel clima di giustizialismo di Silicon Valley, dove si vuole colpire uno (Uber) per educarne cento, pare di assistere a un Mani Pulite in provincia di San Francisco. Uber è presa di mira non dai giudici (non c’è nessun reato, e qui nessuno metterebbe sotto controllo i telefoni degli startupper per fare carriera politica) ma dai media. Il gruppo, valutato 70 miliardi di dollari, procede di scandalo in scandalo, e il ceo e fondatore Travis Kalanick è pronto a un passo indietro. Si cerca un governo tecnico per sostituirlo alla guida della sua azienda; una grosse koalition possibilmente guidata da una signora, del tipo Sheryl Sandberg, la Merkel che tiene a bada i ragazzi di Facebook. Il finanziere e grande saggio Bill Gurley che siede nel board dell’azienda sta consigliando Kalanick su come gestire la tempesta, tipo Quirinale.

 

 

 

Intanto l’Economist di questa settimana si chiede se Kalanick sia fit o unfit per guidare la sua azienda. E ora arriva pure il bunga bunga; sui giornali è uscita una storia secondo cui Kalanick insieme a dei sottoposti sarebbero andati, a margine di una gita aziendale, fantozzianamente in un “karaoke-escort bar” a Seoul tre anni fa (a parte che sarebbe interessante capire come funziona un karaoke-escort bar), con conseguenti report dell’ufficio risorse umane dell’azienda sull’increscioso episodio. Secondo i media ci sarebbe anche l’aggravante che Kalanick oltre ai sottoposti forse restii madeferenti vi portò anche la fidanzata (cosa che renderebbe il tutto più innocente). Ma ormai Uber è nella classica tempesta perfetta, poco importa se poi pare che il bar fosse un normale karaoke; ormai il danno è fatto; e ai dilemmi etici si aggiungono i guai meccanici. Nel weekend una loro macchina senza conducente si è cappottata in Arizona (in realtà per colpa di un altro veicolo) e la flotta senza pilota è stata rimessa in garage.

 

 

Intanto nella temperie anti startupper-alfa, due signore lanciano un nuovo movimento, una specie di girotondo per le startupper etiche e possibilmente femminili. Mara Zepeda e Jennifer Brandel hanno annunciato infatti il nuovo movimento “Zebra”. L’era degli unicorni (cioè le grandi startup che raggiungono il miliardo di euro di valore) è finita, adesso bisogna puntare sulle startup zebra. “Il sistema capitalistico sta portando alla rovina della società perché rovina le compagnie zebra, compagnie profittevoli che risolvono problemi reali, e facendolo riparano sistemi sociali esistenti”, hanno scritto le due imprenditrici su Medium. “A differenza degli unicorni le zebre sono animali reali; sono bianche e nere, dunque portano profitti ma anche migliorano la società; in branco proteggono gli altri”, invece degli unicorni individualisti e testosteronici come Uber. Le zebra si collocano a metà tra le startup “for profit” e quelle “no profit”, non distruggono settori come Uber ma risolvono problemi reali, inseguono la qualità e non la quantità, e ovviamente hanno la “diversity” come parola d’ordine. E poi, soprattutto, sono femmine.

 

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