L'idea vincente sugli animali e la necessità per le nuove imprese di marketing e visibilità stampa

Elena Bonanni

    Per dare vita a una start up ci sono due vie principali: trovare risorse economiche e consulenza in un incubatore oppure tentare la strada dei bandi e dei finanziamenti. Ma esiste anche una terza via: autofinanziare il progetto attraverso l'erogazione di altri servizi per poi vendere la start up, ancora in fase embrionale, a chi ha il tempo e le risorse economiche per svilupparla. E’ questa la strada percorsa da Business Competence, una software house che sviluppa applicazioni mobile e aziendali, siti web e piattaforme ecommerce che dalla sua nascita nel 2008 ha già creato e ceduto tre start up ad altri investitori.

     

    “Siamo una start up di start up. Non abbiamo mai partecipato a bandi pubblici. Ci siamo sempre autofinanziati, avevamo idee e decidevamo di svilupparle per conto nostro. Siamo incubatori di noi stessi. I bandi consumano tempo e sono complicati per chi fa start up tecnologiche e chi fa una start up spesso non ha tempo. Se la partecipazione ai bandi fosse più semplice sicuramente saremmo interessati”, racconta la fondatrice e ceo Sara Colnago. “Nasciamo – dice – in pieno periodo di crisi. Quando abbiamo creato la nostra prima start up, una piattaforma di analisi della reputazione, Cmip, non riuscivamo a trovare finanziatori. Abbiamo capito che dovevamo fare da soli, iniziando a lavorare per dare servizi ai clienti mettendo nel progetto l'utile che ne ricavavamo”. Nel frattempo Cmip è stata venduta. Così come altre due società. “Il tema delle start up – dice Colnago – non è solo un problema di soldi ma anche di tempo, oltreché di competenze”. 

     

    C’è poi un ecosistema ancora grezzo, dove il rischio fallimento delle start up, soprattutto quelle create dai giovani, è ancora elevato. “I soldi, che da finanziamenti e incubatori sono sempre insufficienti, non fanno la differenza – dice Colnago – quello che potrebbe aiutare veramente sono sistemi agevolati di marketing sui canali della comunicazione, da Facebook alla stampa. I giornali non parlano delle start up. E’ successo anche a noi con una delle nostre ultime start up, Dogalize. La prima rivista che ci ha recensito è stato il Guardian, poi l’Huffington Post tedesco e delle riviste austriache. Alla stampa italiana siamo rimasti invisibili per qualche mese. Erano tutti convinti che fossimo americani”. Nel frattempo sono però arrivati i premi. Solo per citarne alcuni, nel 2015 il Premio Innovazione Italia Confcommercio e i Webby Awards di New York; nel 2014 l’European Lovie Awards e nel 2013 il premio Donna Imprenditrice per Sara Colnago.

     

    Dogalize è una community dedicata al mondo degli animali da compagnia che oggi conta 250 mila utenti. Ed è la prima start up che Business Competence ha deciso di non vendere. “E’ nata un anno fa – dice Colnago – come servizio di telemedicina veterinaria quando, ad agosto, ci siamo trovati ad affrontare dei problemi di salute dei nostri animali. Da lì abbiamo deciso di svilupparla noi in prima persona”. Se l’idea ha fatto perno sulla passione degli stessi sviluppatori per gli animali, che accompagnano i padroni ogni giorno negli uffici di Business Competence, alla base, come per tutte le precedenti start up, c’è un processo di selezione delle idee rigoroso, con un occhio attento al potenziale futuro di marketing. “Cerchiamo di anticipare i trend del mercato di un anno e mezzo, il tempo che serve a una piattaforma per andare sul mercato – dice Colnago – proviamo a muoverci prima sia sul fronte della tecnologia sia sul fronte del mercato. Nel caso di Dogalize si è trattato di abbinare la tecnologia delle video call al mondo dei pet, uno dei settori più promettenti di questi anni”. Oggi Dogalize è un social network, un produttore di contenuti, un punto di riferimento nel mondo del pet in Italia ma anche in Europa, America Latina ed è in procinto di essere lanciato negli Usa. Il segreto è stato fare leva su un settore che conta forti appassionati. “La difficoltà è stata capire come era meglio muoversi sul mercato. Abbiamo dovuto fare tutto da soli e abbiamo scelto di concentrarci per un anno solo nel consolidare la community. Non c’era un modello di business che prevedeva ricavi. Abbiamo guadagnato poco o nulla”. 

     

    Una scelta non così scontata: sono numerosi i social network che nascono partendo subito in parallelo anche con attività di business. “Noi invece – ha spiegato Colnago – abbiamo puntato sui contenuti e servizi per avere utenti e costruire una community forte che trova utile quello che facciamo. Ora siamo così pronti a fare il passaggio al mondo business: Dogalize si prepara a diventare un vero e proprio brand, con linee di abbigliamento proprie, prodotti editoriali, un marketplace, prodotti assicurativi e tanto altro”. 

     

    Nel frattempo il team di Colnago pensa già a lanciare una nuova start up: Swascan, un software per testare le applicazioni web e capire se presentano falle o vulnerabilità a costi molto contenuti che ha già trovato il sostegno di Raoul Chiesa, oggi un consulente per la sicurezza informatica, in passato uno dei primi hacker d’Italia che si intrufolò nelle reti informatiche di Bankitalia, Ibm e AT&T