Seun Adigun e le due frenatrici, Ngozi Onwumere e Akuoma Omeoga. Sono le componenti della squadra nigeriana di bob (foto via Instagram)

“Tre sotto zero”, la squadra nigeriana di bob andrà ai Giochi invernali

Francesco Caremani

Non è il primo paese africano a essersi qualificato alle Olimpiadi in discipline non proprio tipiche dei paesi caldi. Una bella storia di sport

Sicuramente qualche purista storcerà il naso di fronte alla notizia che la Nigeria, per la prima volta nella storia, sarà presente ai Giochi olimpici invernali di Pyeongchang (edizione numero ventitré), che si svolgeranno in Corea del sud dal 9 al 25 febbraio prossimi, nel bob a due femminile, disciplina introdotta nel 2002 a Salt Lake City. Sono tre atlete nigeriane, la pilota, Seun Adigun, e le due frenatrici, Ngozi Onwumere e Akuoma Omeoga, che realizzano il sogno iniziato negli Stati Uniti, dove Seun Adigun è stata per un anno frenatrice nella squadra a stelle e strisce, esperienza che l’ha convinta a portare gli sport invernali in Nigeria. Tutte e tre vengono dall’atletica leggera. Adigun ha corso per il suo paese i 100 metri ostacoli a Londra nel 2012, Onwumere è stata medaglia d’oro e d’argento nella 4x100 e nei 200 metri agli Africa Games del 2015, e Omeoga una velocista dell’Università del Minnesota.

La prima slitta artigianale, di legno, per allenarsi sulla terra l’hanno chiamata Mayflower, come la nave dei padri pellegrini che dall’Inghilterra raggiunsero gli Stati Uniti, nella baia di Cape Cod. Poi hanno dato vita a un crowdfunding sulla piattaforma gofundme.com ma, soprattutto, hanno dovuto completare le cinque gare di qualificazione tra lo Utah, Whistler e Calgary, lì dove nel 1988 iniziò l’avventura della squadra giamaicana maschile di bob romanzata nel film della Disney Cool Runnings e diventata leggendaria per le agiografie che ne sono seguite. Seun, Ngozi e Akuoma, la prima e la terza nate negli Stati Uniti, saranno in assoluto la prima squadra africana di bob, mentre la statunitense Simidele Adeagbo potrebbe qualificarsi nello skeleton sotto la bandiera nigeriana. Così ad Abuja, adesso, ci sono due federazioni di sport invernali.

Una storia di sport e anche di opportunismo, cioè gareggiare per un paese che non è mai stato presente ai Giochi olimpici invernali piuttosto che affrontare la frustrazione di non poterlo fare per un altro che ha una tradizione e atleti insuperabili (non è il primo caso e non sarà l’ultimo), che colpisce e che sta facendo il giro del mondo. Dimenticando che di storie simili ce ne sono già state, Giamaica a parte. Nel 1960, a Squaw Valley il Sud Africa partecipa nel pattinaggio di figura, nel 1972 a Sapporo ecco le Filippine nello sci, nel 1980 a Lake Placid arriva il Costa Rica sempre nello sci. Ma è a Sarajevo, nel 1984, che si raggiunge l’apice con le Isole Vergini britanniche nel pattinaggio di velocità, l’Egitto nello sci, il Porto Rico nello slittino e il Senegal pure nello sci con Lamine Guèye che, nipote dell’omonimo politico senegalese, s’innamorò di questo sport dopo un viaggio in Svizzera, tanto da fondarne la federazione nel 1979. Criticato per avere sfilato durante la cerimonia d’apertura del Mondiale del 1996 in Sierra Nevada insieme con Alfio Muschio, personaggio comico di Bebo Storti, si è battuto contro il Comitato olimpico per le regole da lui ritenute discriminatorie per le qualificazioni ai Giochi olimpici invernali: “Fino ai Giochi del 1992, inclusi, ogni paese poteva inviare quattro atleti per ogni evento di sci alpino, e siamo stati in grado di credere che eravamo uguali. Quelli furono gli ultimi veri Giochi olimpici invernali”.

Nel 1998 arrivano le Fiji nello sci di fondo e le Isole Vergini nello sci, bob e slittino. Nel 1994 le Samoa americane nel bob e il Kenya nello sci di fondo. Nel 2002 il Camerun nello sci di fondo e Trinidad e Tobago nel bob a due. Nel 2006 l’Etiopia nello sci di fondo. Nel 2010 Cayman e Ghana nello sci alpino. Nel 2014, a Sochi, Dominica nello sci di fondo, Togo nello sci alpino e di fondo, Zimbabwe in quello alpino. La notorietà della squadra giamaicana di bob, creata da due statunitensi, arrivò anche dallo scivolamento ribaltato con cui fecero un lungo tratto di pista nell’esordio a Calgary, però ai Giochi successivi si sono riscattati ottenendo buoni risultati e dimostrando di essere dei veri atleti. A Sochi sono giunti ventinovesimi. Per le ragazze nigeriane sono state utilizzate parole come “orgoglio”, “pietra miliare”, “opportunità”, e probabilmente è accaduto lo stesso nel 1988 per i giamaicani. Il primo risultato, in entrambi i casi, sono tanta notorietà e stupore.

Alcuni guardano alla loro storia come a un esempio, qualcosa che possa ispirare gli atleti di tutto il mondo a seguire i propri sogni e a non mollare mai. Può essere, a prescindere dai risultati, visto che di Giochi olimpici si tratta, ma non crediamo che il one shot possa fare letteratura, intesa in senso scientifico. La continuità, lo sviluppo degli sport invernali anche in paesi dove sicuramente è complicato, aprire la strada ad altri, impegnarsi ogni quattro anni per confermarsi e per continuare a sognare, ripetersi nonostante le difficoltà, gli infortuni e gli enormi sacrifici. Ecco questo sarebbe un esempio, senza nulla togliere a Seun, Ngozi e Akuoma. Ma quando si parla d’ispirazione ci viene meglio pensare ad Alex Zanardi o a Giulia Capocci, sconosciuta istruttrice di tennis che costretta su una sedia a rotelle sta scalando le classifiche mondiali della disciplina.