Paulo Dybala (foto LaPresse)

Di Dybala la Juve ha capito quello che l'Argentina non capisce

Leo Lombardi

Dieci gol in sei partite. In Italia nessuno tiene il ritmo del numero 10 bianconero. A Torino hanno iniziato a rispettarlo, quando anche in nazionale si accorgeranno che l'obiettivo comune è più forte dei clan, avranno bisogno di lui

Dieci gol in sei partite, nessuno tiene questo ritmo in Italia. In Europa solo Lio Messi gli è vicino, con nove reti. Messi, per l'appunto, la pietra di paragone inevitabile per ogni argentino che giochi vicino alla porta avversaria e che ha rischiato di schiacciare Paulo Dybala a metà settembre: prima partita del girone di Champions League, il Barcellona umilia la Juventus e Dybala scompare nel confronto diretto con Messi, tanto pompato alla vigilia da giornali e televisione. Evidentemente l'attaccante bianconero ha un rapporto complicato con le coppe, basti pensare alla finale della stessa Champions a Cardiff. Juventus nuovamente ribaltata – stavolta dal Real Madrid – e Dybala assente ingiustificato in campo, al punto da scatenare la rabbia di Bonucci nell'intervallo per una rissa sempre smentita dai protagonisti e da tutto l'ambiente bianconero.

 

Ma in Italia è un'altra cosa, decisamente. La maglia numero 10 non pesa sulle spalle di Dybala. Qualcuno lo ritiene ancora un sacrilegio, ripensando a Michel Platini o ad Alessandro Del Piero. La memoria del tifoso tende però sempre a sfumare i ricordi negativi, dimenticando quanto il francese fece fatica a essere apprezzato oppure le fatiche che spesso incontrò l'azzurro. Esattamente quanto avviene per Dybala che però, quando accende la fantasia, diventa irresistibile, come chi l'ha preceduto con quel numero. Platini, per esempio, adorava i derby e l'altra sera l'argentino ha scelto la partita con il Torino per realizzare la sua prima doppietta di stagione (dopo due triplette con Sassuolo e Genoa). Reti che sono il frutto dell'intelligenza tattica di Max Allegri, che non ingabbia Dybala in uno schema, lasciandogli piena libertà di movimento. E che sono frutto dell'applicazione stessa dell'argentino: certe conclusioni non vengono per caso, lui e Pjanic al giovedì si concedono un surplus di allenamento proprio per perfezionare il tiro. Aspetto di cui Sirigu si è dolorosamente reso conto sabato sera.

 

Un'applicazione che accompagna Dybala fin da quando ha cominciato a giocare a pallone. Maurizio Zamparini lo scova nell'Instituto di Cordoba, società di secondo piano in Argentina, nota solo per aver avuto Mario Kempes tra i suoi giocatori. Nel 2012 lo porta a Palermo, nel solco delle grandi intuizioni sudamericane avute prima con Javier Pastore e poi con Edinson Cavani. Dybala ha 19 anni, praticamente un bambino, caratteristica accentuata dai tratti del volto di un eterno adolescente. Il contatto con l'Italia è scioccante, tra risultati (in Sicilia retrocede) e situazioni complicate. Ma la dedizione è totale, anche quando Rino Gattuso in allenamento lo piazza trequartista e ne cura personalmente la marcatura con la cattiveria che solo lui ha. Il bambino cresce, al punto che Antonio Conte lo incontra a fine 2014 per portarlo in nazionale. L'attaccante ha il nostro passaporto grazie a una bisnonna mai conosciuta, ma si sente più polacco (per via del nonno) che italiano. E se proprio deve essere una nazionale, che sia quella argentina. Dal Palermo alla Juventus il salto è naturale. Inizialmente Allegri adopera Dybala con parsimonia, scatenando le supposizioni precipitose della critica che parla di investimento sbagliato (una quarantina di milioni). Ma è il metodo che il tecnico adopera con tutti i nuovi arrivi, specie se giovani: si veda alla voce Alex Sandro.

 

L'inserimento è graduale, i risultati eclatanti. Dybala diventa nel giro di due stagioni l'uomo in più della Juventus, il vero numero 10 in grado di risolverti la partita con una giocata. Non ti accorgi di lui fin quando non prende palla e colpisce. Lo fa con discrezione, senza apparire. Come nella vita, regolare e senza colpi di testa. Anzi, con gesti inaspettati come quando, a gennaio, lo incontrano di notte con il suo amico Juan Iturbe – all'epoca al Torino – a distribuire coperte ai senzatetto della città. E' uno che non alza la voce Dybala, finora. Alla Juventus hanno iniziato a capirlo e a rispettarlo, ben sapendo che in futuro sarà difficile trattenerlo. Cosa che non avviene ancora con l'Argentina, influenzata negativamente da due miti: quello in campo (Lio Messi) e quello fuori del campo (Diego Maradona). Quando anche da quelle parti si accorgeranno che l'obiettivo comune è più forte dei clan, forse cominceranno a vincere qualcosa. Di sicuro avranno bisogno di Dybala.