Neymar (foto LaPresse)

Il senso dell'affare

Beppe Di Corrado

Scandalizzatevi pure per l’operazione Neymar, ma è proporzionata al business in cui nasce. Fair play? Occhio nel 2018 ai ricavi del Psg

Neymar adesso aspetta solo di giocare. Ha aspetta un transfer che il Barcellona ha negato a lungo al Paris Saint-Germain, non si capisce bene se per ripicca, per vendicare un oltraggio o per la denuncia di una presunta irregolarità. Duecentoventidue milioni sono tanti, per molti troppi, ma sono la quotazione che il Barça stesso aveva fatto di Neymar: è bizzarro trovare qualcuno che è disposto a darteli e poi dire che è una vergogna. E’ fatta, è successo, adesso basta. Adesso il campo: campionato, coppe nazionali, Champions League e poi pure il Mondiale in Russia. Le connotazioni geopolitiche di cui molti hanno parlato in queste settimane sono probabilmente elucubrazioni, sono verosimilmente teorie del complotto applicate al calcio. E’ il mercato, punto. E il mercato è una cosa semplice, in fondo: c’è un venditore, c’è un compratore, c’è un bene da vendere. Neymar è il bene. Inteso come oggetto, non come valore morale, anche perché questo presupporrebbe l’esistenza di un male. E invece in questa storia un male non c’è. Ciascuno può giudicarlo come gli pare, può farsi il giudizio che vuole, può attribuire pesi anomali e appunto immoralità, ma è un affare proporzionato al business nel quale nasce. C’è da scandalizzarsi il giusto, diciamo non più di quanto si sarebbe dovuto fare in occasione del passaggio di Maradona dal Boca Juniors al Barcellona e poi dal Barcellona al Napoli, di Ronaldo dal Psv dal Barcellona e poi dal Barcellona all’Inter, di Zidane dalla Juve al Real, di Cristiano Ronaldo dal Manchester United al Real: tutti record per le rispettive epoche. Al calcio d’oggi e ai suoi protagonisti attribuiamo comportamenti peggiori di quelli dei predecessori senza tenere conto di alcune variabili: 1) oggi sappiamo tutto, dettagli inclusi, dei trasferimenti. 2) Il volume d’affari del calcio è cambiato tutto e con questo sono cresciute le valutazioni dei calciatori e i loro ingaggi.

 

Sulla vicenda pesa
solo un dubbio:
chi ha pagato la clausola di rescissione. Neymar non ha i 222 milioni
per liberarsi
del Barcellona

In tutte le interviste rilasciate in questi giorni coloro che in teoria dovrebbero preoccuparsi di più di questa storia, ovvero i vertici delle istituzioni sportive europee, sono i più tranquilli. Alla Repubblica l’economista Umberto Lago, vicentino, 52 anni, professore all’università di Bologna, uno dei padri del Financial Fair-Play dell’Uefa, ha detto: “L’Uefa valuta l’impatto economico. Supponiamo un’uscita di 230 milioni e l’entrata di un asset da 230 milioni, che grava sul bilancio per 110 milioni a stagione tra clausola e stipendio. Non è di per sé un male, se il club genera 110 milioni di nuovi ricavi. Il Psg arriva da due bilanci in utile: la procedura d’infrazione scatterà solo se, conteggiati gli utili precedenti, il deficit supererà i 30 milioni”. Ovvero, l’operazione Neymar sta in piedi normativamente e legalmente, oltre che economicamente. C’è una parola magica che in pochi considerano e che invece è centrale nella stessa concezione del Financial Fair Play: ricavi. Se tu spendi e poi incassi grazie a quella spesa (investimento), sei in regola, altrimenti no. E’ il principio del buon imprenditore che spesso cozza con quello del buon padre di famiglia, con l’unica differenza che con i principi dei buoni padri di famiglia sono stati costruiti gli stati assistenzialisti che hanno trascinato nel baratro l’intero welfare occidentale. Il calcio è un’industria e deve applicare logiche economico-finanziarie che gli consentono di crescere. Cosa che sta accadendo. Per capire: i ricavi in crescita consentono al Barcellona (e al Real) di sostenere un debito verso le banche che per altre aziende non sarebbe sostenibile. Tutto ciò significa che il Financial Fair Play funziona nonostante in questi giorni il caso Neymar abbia fatto dubitare. Se il Psg avrà commesso un’infrazione lo sapremo l’anno prossimo. Sulla vicenda pesa solo un dubbio: chi ha pagato la clausola di rescissione. Secondo una ricostruzione fatta da SkySport pochi giorni prima della chiusura della trattativa “quando viene pagata una clausola rescissoria tecnicamente è il giocatore stesso in prima persona che paga la penale al club con cui è sotto contratto per potersi liberare, andando poi a firmare per qualsiasi squadra egli voglia. Ovviamente Neymar non possiede i 222 milioni per liberarsi dal Barcellona: quei soldi devono essere “investiti” dalla squadra che intende poi metterlo sotto contratto, in questo caso il Psg. La proprietà qatariota vorrebbe consegnare quei soldi a Neymar attraverso un accordo di sponsorizzazione personale, che sia con una delle tante aziende controllate o con un partner commerciale. Così i 222 milioni non verrebbero contabilizzati sui libri del club francese, il quale sarebbe libero di firmare Neymar come se fosse svincolato e mettere a bilancio ‘solo’ il costo del suo ingaggio”. Ecco, questo il Ffp non lo consente ed è per questo che Lago a Repubblica ha detto: “Se la clausola fosse stata pagata dal giocatore, l’Uefa qualche domanda la farebbe. Il dubbio non rimarrà a lungo. Io penso che il costo sia stato sostenuto dal club”. E’ quello che dice anche il presidente del Psg, Nasser Al Khelaifi.

 

L'arrivo del giocatore brasiliano al Barcellona costò al club 130,2 milioni di euro. E costò la presidenza a Rosell che mentì sull'importo

Neymar aspetta di giocare. Subito. Aveva deciso di fare causa al Barça se il Barça si fosse ostinato ancora a bloccare il transfer. Qui c’è onestamente la parte più bizzarra della storia. Il presidente catalano Josep Maria Bartomeu ha parlato all’assemblea mondiale dei soci del Barcellona: “Neymar è già il passato, il Barcellona guarda al futuro, ma abbiamo denunciato alla Uefa questa operazione. Siamo contro l’inflazione artificiale del calcio e vogliamo proteggere questo sport. Tutto ha un limite e nessun giocatore può essere al di sopra del Barça. Il nostro è un club con 118 anni di storia, con grandi giocatori e oltre 140 mila soci: è nostro e dei nostri soci, non di uno sceicco o un oligarca”. Se tutto ha un limite, ce l’ha anche l’arroganza di pensare di essere diversi. Da chi? L’arrivo di Neymar al Barcellona costò al club 130,2 milioni di euro, come detto dallo stesso Bartomeu che all’epoca era vicepresidente e gestì in prima persona l’affare. Era il 2011 e Neymar non era ciò che è oggi: aveva 19 anni ed era la grande promessa del calcio brasiliano. Quell’acquisto tra l’altro costò la presidenza a Sandro Rosell che mentì sull’importo, dicendo che l’operazione aveva un valore complessivo di 58 milioni. Bartomeu fu anche indagato dalla procura di Madrid e dal fisco spagnolo. Quella non era inflazione artificiale? E non è forse inflazione artificiale pagare ogni stagione 36 milioni netti a Messi, 25 a Neymar, 22 a Suarez? Altra domanda: i soldi del Qatar fanno schifo se servono a foraggiare il Psg, ma sono santi e benedetti se diventano la più ricca sponsorizzazione della storia del calcio: 70 milioni all’anno per cinque anni della Qatar Airways che sponsorizza il Barcellona (più altri 20 per sponsorizzare il centro sportivo) che si aggiungono a quelli dati precedentemente dalla Qatar Foundation (30 milioni all’anno per quattro anni): fanno 570 milioni tra il 2011 e il 2021.

 

Anche le clausole di rescissione sono una forma di arroganza. Barcellona e Real Madrid sono le squadre che le hanno sviluppate più di tutte, con l’idea di dimostrare al mondo di avere il più importante patrimonio tecnico del calcio (cosa vera), e al tempo stesso anche il più importante patrimonio economico. Ma dando un valore, per quanto altissimo, si dice automaticamente che quel calciatore è potenzialmente in vendita: lo vuoi? Lo devi strapagare. E peraltro anche il Barça strapaga: ha speso 90 milioni per il solo cartellino di Suarez, come aveva speso 63 milioni per quello di Ibrahimovic. Il quotidiano madrileno As ha stimato in un miliardo e duecento milioni la spesa sostenuta dal Barcellona per gli acquisti sul mercato negli ultimi dieci anni. Non c’è un modello migliore e uno peggiore, avere l’azionariato diffuso non dà alcuna patente di moralità superiore agli altri. Ancora una volta è semplicemente il mercato. E il mercato del calcio è questo. Poi se vogliamo parlare di dispiacere nel vedere che un club giovane e parvenu che fa un’operazione “ostile” nei confronti di uno dei più importanti club del mondo con una storia centenaria, allora il discorso cambia. Ma Neymar c’entra davvero? Ha detto: “Non sono qui a Parigi per soldi”. Vale la pena credergli se pensiamo che ad arricchirsi con questa cessione è stato il Barcellona più di lui: in fondo lui guadagnerà solo cinque milioni all’anno più di prima. Ed è una cifra che il Barça era disposto a riconoscergli in caso di permanenza in Catalogna. Ciò che troppi non hanno preso in considerazione, in preda alla furia moralista, è che al netto di guadagni comunque mostruosi esiste il campo. Messi ha 30 anni, Neymar 25. Una differenza non sufficiente a garantire una successione piena. Francesco Paolo Giordano ha ricordato il giorno in cui Ney entrò la prima volta nello spogliatoio del Barcellona: “Guardai da una parte, c’era Messi. Dall’altra Xavi, Iniesta, Piqué, Dani Alves… Un giorno li sceglievo ai videogame, quello dopo ero accanto a loro. Il primo mese fu molto complicato. Parlare con Messi mi imbarazzava”. Era il 2013: da allora, i numeri del brasiliano in Spagna parlano di 105 gol in 186 presenze, che, a vario titolo, hanno fruttato una Champions e due campionati. Dagli esordi in un Barça annacquato, quello ancora nel pieno di una ristrutturazione d’identità dopo l’addio di Guardiola, all’esaltazione nel tridente più spettacolare del mondo, quello completato da Lionel Messi e Luis Suárez. Allora, perché il Paris Saint-Germain? Non più tardi di due anni fa, Neymar diceva: “Imparo ogni giorno da Messi”. Oggi, dopo quattro stagioni trascorse insieme e un perfezionamento passato anche dalla compresenza dell’argentino, Neymar sente di poter competere alla pari con la Pulce. Non può farcela? Probabile, ma vuole farlo. L’ultima stagione non è stata necessariamente la migliore nella carriera del brasiliano: sicuramente non lo è stata dal punto di vista realizzativo, né da quello dei trofei vinti. Ma ha segnato una prospettiva nuova: quella di un giocatore leader. Forse proprio contro il Psg, nella clamorosa rimonta del Camp Nou, Neymar ha raggiunto, sotto questo aspetto, il livello più alto: è stato il protagonista dei minuti finali del match, con due gol e l’assist per la rete del 6-1 di Sergi Roberto.

 

Anche il Barça strapaga: ha speso 90 milioni
per il solo cartellino
di Suarez, aveva speso 63 milioni per quello
di Ibrahimovic

Per questo serve il campo, subito. Per ridare a questa vicenda la dimensione del pallone. Non è romanticismo, quanto il suo contrario. E’ necessità. E’ giustizia. Perché Neymar è una star, ma non è solo una star. Chi l’ha ritratto finora come una figurina perde di vista il campo. L’essere contemporaneo è esattamente questo: far convivere l’apparato che genera il personaggio, che lo fa muovere come un divo, che l’ha trasformato in un brand pazzesco con il giocatore. In Neymar, come accadeva con Beckham, non c’è contraddizione, anzi. C’è contiguità, c’è complementarietà. George Quraishi, condirettore di Howler, ha scritto: “E’ davvero difficile valutare chi sia oggi il più famoso su scala globale tra i giocatori famosi. Cristiano Ronaldo? Messi? Neymar? Non puoi dirlo. Ma il brasiliano è quello che vive più immerso in quest’epoca”. Concede poche interviste, ma quelle che sono uscite in questi anni aiutano un po’ a capirlo. Andrew Anthony ha raccontato sul Sunday Times l’attesa per incontrarlo, ha descritto quei momenti come un fastidioso rito figlio del divismo, salvo cambiare completamente idea al momento del suo arrivo: “Molti sportivi sembrano avere un’aura impalpabile, qualcosa che li porta inevitabilmente a sentirsi superiori rispetto agli altri, ai mortali. Ma Neymar non è così. E’ timido, si autoracconta come un tipo semplice e lo è, un ragazzo di 23 anni che riesce a vivere questa dimensione e quella dello sportivo che per due anni è stato indicato da SportsPro come il più attraente per il mercato pubblicitario”. A Undici, poco prima della finale di Champions di Berlino contro la Juventus, parlò di come è cambiato il suo modo di stare in campo, di come Barcellona l’ha normalizzato ed esaltato al tempo stesso. Semplice: un tocco, a volte due. Segna con una facilità che è determinata anche dall’aver sfrondato il suo stile di gioco da molti accessori. Il dribbling è funzionale. In quella stagione di Berlino segnò 12 gol toccando il pallone una sola volta negli ultimi venti metri di campo. Non serve più fare il gol che l’ha reso definitivamente famoso: Santos-Flamengo del 2011 con lui che parte dalla linea laterale sinistra, salta due avversari, tocca in profondità per un compagno, scatta, se la fa ridare inseguito da uno di quei due che non lo molla, ne salta un altro entrando in area, tenendo sempre dietro il primo e d’esterno destro aggira il portiere. Le finte e i dribbling che si vedono in quest’azione non hanno un nome codificato. Sono 11 secondi di meraviglia, che una descrizione non riuscirà mai a raccontare per la loro bellezza calcistica ed estetica. Non si cancellano, ma non ci sono più. Neymar è diventato più funzionale, più maturo, più completo. Il suo gol più bello, quello al Villareal è un saggio della sua mutazione: da sinistra verso il centro, con Suarez che fa il movimento opposto in un contropiede velocissimo. Ney riceve il cross a mezza altezza, sente l’avversario alle spalle, tocca con il sinistro, con una veronica fa passare la palla sopra la testa del difensore, lo aggira e tira al volo di destro. E’ un’estetica meravigliosa collegata all’utilità: nessun movimento oltre quello gli avrebbe consentito di calciare con quella rapidità e solo davanti al portiere. E’ ovvio che è stato un movimento istintivo, ma è un istinto collegato al una serie di movimenti che sono stati la sua maturazione.

 

I numeri sono implacabili e chiarissimi: nella stagione d’oro della Champions 2015 ha segnato 9 gol in 11 partite e 5 di questi li ha fatti tra i quarti di finale contro il Paris Saint-Germain e la semifinale contro il Bayern Monaco. Ha cominciato seriamente a segnare gol decisivi. Come quelli nel 6-1 contro il Psg nella stagione appena finita. S’è allargato, lì a sinistra, perché convivere con Messi significa soprattutto fargli spazio. Adesso a Parigi probabilmente cambierà ancora, perché sarà lui il centro del gioco e non un altro. C’è qualcosa di male in questo? C’è qualcosa di male nel voler essere il più forte di una squadra?

 

All'inizio non convinceva quel suo modo di essere solo dribbling
e giochetti. È al passo con i suoi tempi più
di chiunque altro

E’ ciò che in realtà gli abbiamo chiesto da quando è comparso sullo scenario del calcio mondiale. Non convinceva quel suo modo di essere solo dribbling e giochetti, di tuffarsi con esagerazione. Molti l’hanno preso come un giocattolo, un playstation player. Quando Roger Bennett di Espn l’ha definito “il calciatore simbolo dell’era YouTube”, in molti hanno pensato fosse un’offesa. E così l’hanno trattata. Era l’opposto, era semplicemente la constatazione che Neymar è al passo con i suoi tempi più di chiunque altro. La capacità di essere determinante è cresciuta con la consapevolezza di non essere ancora allo stesso livello di Messi e Cristiano Ronaldo, ma di poterci arrivare. Non solo per età, ma per capacità, concretezza e leadership. A chi si è chiesto in questi giorni se l’operazione del Psg stesse in piedi, ha risposto la riflessione fatta da Rory Smith sul New York Times: “Dal punto di vista del marketing legato all’operazione, se parliamo di brand Neymar parliamo di un rientro sicuro del capitale investito: c’è una marketability del giocatore, presenza sui social media, potenzialità attrattiva dovuta alla autenticità da Millennial. Neymar è, inoltre, più giovane e maggiormente sfruttabile rispetto ad altri colleghi. Le entrate di Neymar legate agli endorsement, 61 per cento, doppiano quelle ottenute da Ronaldo (36 per cento) e Messi (34 per cento)”. Fox Sports ha tirato fuori una vecchia indagineche mostra come Neymar abbia già realizzato (a 24 anni) quasi il doppio dei gol fatti da Ronaldo alla stessa età. Non piacerà a chi pensa che sia una marionetta più per pregiudizio che per analisi reali o realistiche, però è questa è la conseguenza del suo talento. Non il contrario. Vuol dire che viene prima il calciatore e poi tutto il resto. E’ il motivo per cui per il Paris Saint-Germain aveva senso comprarlo. E per lui andare.