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Per gloria e per soldi, l'affare Champions di Juventus-Real Madrid

Leo Lombardi

A Cardiff i campioni d'Italia e quelli di Spagna si giocano la coppa più importante d'Europa, nata oltre sessant'anni fa da uno sgarro francese ai danni degli inglesi 

Tutto nasce dal solito litigio Gran Bretagna-Francia. E non avrebbe potuto essere altrimenti. A metà anni Cinquanta del secolo scorso la guerra è finita da un decennio, Londra si è nuovamente rintanata nel suo splendido isolamento, pure calcistico. Sia mai detto che chi ha inventato e codificato il gioco del pallone venga trascinato in mezzo ai comuni mortali. Ma quando il richiamo di un confronto internazionale diventa irresistibile, ecco l'eliminazione al primo turno al Mondiale in Brasile nel 1950, con una sconfitta contro gli Stati Uniti (un 1-0 che in Inghilterra avevano interpretato come un refuso, si pensava a una vittoria per 10-0) ed ecco le umiliazioni inflitte dalla splendida Ungheria che, tra 1953 e 1954, prima vince 6-3 a Wembley e poi si ripete 7-1 a Budapest.

 

Per questo, quando il 13 dicembre 1954 il Wolverhampton (migliore espressione all'epoca del calcio inglese) batte 3-2 in amichevole la Honved (serbatoio della Nazionale magiara), i toni si fanno roboanti. E il titolo del Daily Mail – “Onore al Wolverhampton, ora campione del mondo” – attizza la ripicca francese. Gabriel Hanot, inviato dell'Equipe, smorza gli entusiasmi altrui, sfidando gli inglesi a qualcosa in più di una semplice partita senza nulla in palio: un torneo vero e proprio, per stabilire chi sia il più forte. E' il primo passo verso la Coppa dei Campioni, che parte ufficialmente il 4 settembre 1955 (senza le inglesi…) con Sporting Lisbona-Partizan Belgrado, una domenica. Si gioca di giorno, finisce 3-3. Nella finale di Parigi il Real Madrid batte 4-3 lo Stade de Reims, primo di cinque successi consecutivi.

In sessanta anni tutto è cambiato, a cominciare dal nome. Ora è la Champions League, torneo che coinvolge l'intero continente, con un passaggio dalle 16 partecipanti della prima edizione alle 78 attuali. Soprattutto con rivoluzioni nel regolamento che hanno stravolto la coppa con il trascorrere degli anni. Dal 2018/19 ci sarà l'ennesima, con una novità positiva per l'Italia, che tornerà ad avere quattro squadre di diritto alla fase a gironi, senza dover passare dall'indigesto playoff estivo (tre eliminazioni negli ultimi tre anni). Una decisione figlia della paura che le big d'Europa si creassero una propria superlega, con ricadute negative sui bilanci dell'Uefa, la federazione europea che organizza il torneo. Nell'edizione che si chiude sabato 3 giugno i club si dividono un miliardo e 300 milioni di euro tra premi e diritti tv, l'obiettivo è concludere il 2019 con un fatturato di tre miliardi, di cui 2,4 da destinare alle partecipanti.

 

Un affare entrare nella Champions, che distribuisce soldi a tutti, a cominciare dalla semplice presenza. Un affarone per chi arriva in finale, come Real Madrid-Juventus ospitata dal Millennium Stadium di Cardiff. Una sconfitta porta nelle casse bianconere 128,7 milioni, che salgono a 133,2 in caso di vittoria: basti questo per capire come la Champions rappresenti l'odierna corsa all'oro per il pallone. Agli ultimi atti del torneo giungono sempre le big del continente per fatturato (Atletico Madrid escluso) e non è un caso che, dal 2005, il nome della vincitrice non sia uscita dal quadrilatero formato da Spagna, Inghilterra, Germania e Italia, le prime quattro leghe europee. Ma anche vincere serve. Serve per la classifica Uefa, il famoso ranking che stabilisce con quante squadre si vada in Europa. E serve per il prestigio: per riaffermare la propria superiorità, in Europa come in patria, e per far conoscere e vendere meglio il proprio brand all'estero. Altri soldi, quindi.

 

Di vittorie se ne intende il Real Madrid, 11 su 14 finali conquistate: nessuno così in Champions. Un po' meno la Juventus, che ha sollevato due coppe (quella tragica dell'Heysel contro il Liverpool nel 1985 e quella ai rigori a Roma contro l'Ajax nel 1996) perdendo, in cambio, sei finali. Anche questo un record continentale.

Due avversarie che dominano in patria dove, grazie al successo nei campionati appena conclusi, hanno vinto entrambe 33 titoli, a meno di non dare ascolto agli irriducibili juventini, che contano pure i due cancellati da Calciopoli. Altrettanto vincenti e altrettanto odiate. Il Real incarna il volto del potere politico, quello del centralismo castigliano diretta filiazione del generalissimo Franco e mal sopportato dagli indipendentisti (la Catalogna barcellonista in testa: basti vedere lo spot Champions mandato in onda dalla tv catalana, nessuna immagine degli odiati rivali). La Juventus incarna il volto del potere in sé e per sé, quello degli Agnelli e della Fiat, ritenuti sempre pronti a ogni giochetto pur di portare un vantaggio a casa, economico come sportivo. Un odio che deriva però dai successi, costruiti con un progetto e non per caso. Due mondi opposti, il Real Madrid degli oltre 90.000 soci e la Juventus di una famiglia sola al comando, come non ce ne sono più ad alto livello dopo gli abbandoni di Massimo Moratti e Silvio Berlusconi. Il primo è rappresentato dal modello Galacticos imposto dal presidente Florentino Perez (tanti soldi, tanti campioni), il secondo dal modello impresa degli Agnelli (soldi sì, ma attenzione a come investirli).

 

Real e Juventus sono approdate alla finale come ci si aspettava. Un po' meno sereni gli spagnoli, giunti secondi nel girone eliminatorio ma poi abili a eliminare avversari complicati come l'ambizioso Bayern e l'arcigno Atletico (era pur sempre un derby) prima di Cardiff.

La Juventus è invece imbattuta, con un ipotetico aiuto nel sorteggio alla fase diretta: squadre relativamente morbide come Porto e Monaco, escluso il Barcellona dei quarti.

Allenatori che si portano bene nel vestire come Zinedine Zidane (cinque anni alla Juventus, prima di andare a giocare per il Real nel 2001) e Massimiliano Allegri, e che si comportano ancora meglio al lavoro. Entrambi sono stati accolti con il sopracciglio alzato, entrambi hanno fatto ricredere i detrattori. Zidane, chiamato dal Castilla (la squadra B del Real), si è rivelato abile a gestire uno spogliatoio di fenomeni dopo l'esonero di Rafa Benitez. Subito una Champions, una Liga, una Supercoppa e un Mondiale per club. Allegri ha messo a tacere le vedove di Antonio Conte con tre scudetti e tre Coppe Italia consecutive.

 

Il Real viene dato ovviamente favorito, un vantaggio per la Juventus, che aveva affrontato con lo stesso ruolo la finale di 2015, creando più di un grattacapo al Barcellona, poi vincitore.

 

Le stelle? Cristiano Ronaldo da una parte e Paulo Dybala dall'altra, il Pallone d'oro di oggi contro il possibile Pallone d'oro di domani. Due giocatori che, con un'idea o un'accelerazione, cambiano il volto a una partita. Gli uomini chiave? Due ex jugoslavi, due croati. Luka Modric è il fenomenale regista di Zidane, uomo di lotta e di governo. Mario Mandzukic è la classe operaia che vuole andare in paradiso. Da punta centrale che era, Allegri lo ha reinventato uomo di fascia che sa anche difendere, sarà decisivo contro i terzini-non terzini del Real. La stesso intuizione che ebbe José Mourinho con Samuel Eto'o e tutti sappiamo che cosa fece quell'Inter. La Juventus guarda proprio a quel 2010, manca la Champions per completare il Triplete e commettere l'ultimo sgarbo a danno dei nerazzurri. Arbitra Felix Brych, avvocato di Monaco di Baviera. In Spagna qualcuno ci ha ricamato parecchio sopra, dopo le due reti in fuorigioco di Cristiano Ronaldo al Bayern. In pochi hanno ricordato che, il 18 ottobre 2013, fu autore di una svista clamorosa, convalidando il 2-0 del Bayer Leverkusen in casa dell'Hoffenheim, ma il colpo di testa di Kiessling era entrato da un buco nella rete. L'arbitro convalidò, ebbe dubbi, chiese aiuto agli assistenti e ai giocatori stessi, che fecero spallucce. Poi dicono a noi italiani.

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