Screenshot tratto da Youtube

L'illusione finita male di Riccardo Riccò: meno 10 al Giro100

Giovanni Battistuzzi

Nel Giro d'Italia del 2007 il corridore emiliano dimostrò il suo talento eccezionale verso le Tre Cime di Lavaredo. Anni dopo però due brutte storie di doping lo allontanarono dal ciclismo

Vederlo affrontare le salite, accelerare in piedi sui pedali quando la salita si inaspriva, usare la sella solo per rifiatare, guardarsi attorno e poi ripartire, era un salto all’indietro nel tempo. La memoria portava a scalatori perduti anni addietro, a biciclette usate come fioretti, come fionde per proiettili di scatti, o meglio mitraglie, perché a ripetizione, uno dopo l’altro, in serie.

 

Riccardo Riccò si palesò salendo verso il Santuario di Montevergine di Mercogliano. Si incollò alla ruota di Danilo Di Luca e solo una furba sbandata del Killer gli fece perdere qualche pedalata e la possibilità di sorpassare il rivale. Undici giorni dopo salendo sul Passo Giau la sua ascesa divenne indizio che qualcosa di nuovo stava accadendo. Un'ora e mazza dopo, in cima alle Tre Cime di Lavaredo, tutto questo divenne prova. Novanta chilometri avanti a tutti con Leonardo Piepoli e un altro manipolo di avventurieri, ascesa e discesa, prima della lama finale sulla quale scorrevano le speranze degli avanguardisti. Riccò e Piepoli rimasero soli con il colombiano Ivan Parra. Parra era un duro a morire, scalatore quadrato, uno che piuttosto che mollare scoppiava. Il sudamericano è preso nella morsa dei due, risponde ai loro scatti, non demorde, prova l’assolo, stacca tutti, ma Piepoli era elastico, una volta staccato prendeva lo slancio e rientrava. Riccò invece si prese il suo tempo e quando la strada divenne verticale salì sulla rampa di lancio, lasciò ad annaspare tutti e si prodigò nello scatto decisivo. Sotto lo striscione d’arrivo passò per primo, alle sue spalle l’esperto Piepoli, che già aveva vinto in quel Giro e soprattutto aveva la responsabilità della balia, del demiurgo.

Riccardo Riccò aveva iniziato la scalata che doveva portarlo a raggiungere la cima del ciclismo. D’altra parte era stata sempre quella la sua dimensione, essere sempre se non il migliore, almeno il più forte. L’anno dopo solo Alberto Contador lo superò al Giro e al Tour de France dimostrò che in pochi avevano la sua forza, il suo spunto, la sua capacità di cambiare il ritmo alla corsa.

Peccato che fu tutto un bluff. A quel Tour lo squalificarono per doping. E quando ritornò dichiarandosi redento in molti gli accordarono una seconda possibilità, perché questo sport va così, sbagliare è facile e l’appello è necessario. Nel marzo del 2010 ritornò, ad aprile superò tutti ancora una volta, a febbraio del 2011 lo ricoverarono messo male per una autoemotrasfusione.

 

Riccardo Riccò finì quel giorno la sua carriera, nonostante qualche vano tentativo di ritornare in gruppo. E fu un peccato, perché indipendentemente da tutto, fu un passaggio che difficilmente si potrà dimenticare, perché non era solo un bluff, era motore e cilindrata superiore a quasi tutti, una fuoriserie senza però comando né controllo.

 

Vincitore: Danilo Di Luca in 92 ore 59 minuti 39 secondi;

secondo classificato: Andy Schleck a 1 minuto 55 secondi; terzo classificato: Eddy Mazzoleni a 2 minuti e 25 secondi;

chilometri percorsi: 3.489.