Gilberto Simoni al Giro d'Italia del 2001

Gibo Simoni riscattò sul Mottarone il Giro del blitz di Sanremo: meno 16 al Giro100

Giovanni Battistuzzi

Verso Arona il trentino con un assolo di cinquanta chilometri giustificò la sua Maglia Rosa che l'ispezione dei Nas e la soppressione della tappa di Sant'Anna di Vinadio aveva provato a mettere in dubbio

Il sei giugno 2001 i carabinieri avevano invaso gli hotel dove dormivano i corridori quando la sera stava per diventare notte. Perquisizione, tutti in piedi, tutti fuori dalle stanze. Era da poco finita la tappa di Sanremo e da Imperia il giorno dopo si sarebbe dovuto ripartire per raggiungere Sant’Anna di Vinadio con il Colle Fauniera a fare da Cima Coppi prima dell’erta finale. Il blitz però vanificò qualsiasi progetto. Nessuno poté dormire perché l’ispezione si protrasse a lungo. I corridori nei corridoi controllati a vista come condannati in attesa della gogna, mentre le forze dell’ordine mettevano tutto a soqquadro e dentro sacchi neri tutto ciò che a loro sembrava sospetto. Sembrava una caccia al tesoro. Nessun doblone però nel forziere, solo fiale e fialette e la convinzione di avere trovato lo scettro dopante del ciclismo. Qualcosa trovarono, alcuni furono cacciati, tutti passarono una notte in bianco. 

  

Il patron del Giro Carmine Castellano e il direttore della Gazzetta Candido Cannavò cercarono di risolvere le cose, di mediare, salvare il salvabile. Provarono a proporre un accorciamento della tappa, ma i corridori rifiutarono; provarono a sacrificare il Fauniera, ma non c’era verso di convincere nessuno. La corsa non sarebbe ripartita verso Sant’Anna e rischiava di non ripartire affatto. “Non siamo assassini, non possiamo essere trattati come tali”, lo gridarono in molti. C’era chi proponeva di bloccare tutto, di boicottare l’arrivo a Milano, di dimostrare così che la lotta al doping è una cosa, le manifestazioni di tolleranza zero e l'esibizione della forza un'altra. Ma anche questa mozione non passò. Una tappa in meno, per di più quella regina, quella che tutti aspettavano, era un sacrificio che la maggior parte dei corridori ritennero sufficiente.

 

L’otto giugno da Alba il Giro ripartì verso Busto Arsizio. Vinse Cipollini, ma i fantasmi della sera di due sere prima non avevano finito di ripresentarsi. Passato il traguardo Dario Frigo, che era secondo in classifica a quindici secondi da Gilberto Simoni, assieme alla notifica della confessione di aver assunto sostanze dopanti rilasciata ai carabinieri, ricevette anche la lettera di licenziamento dalla squadra. La Maglia Rosa si ritrovava senza rivali e la consapevolezza che anche se fosse salito sul gradino più alto del podio nulla o quasi avrebbe dato lustro a quel successo. 

Gibo era un trentino dalla testa dura e sapeva che la maglia che aveva addosso non sarebbe bastato portarla a Milano, era necessario giustificarla.

 

Prima dell’epilogo meneghino rimanevano solo due tappe e due salite, che poi era una, il Mottarone, ma da ripetere due volte, l’ultima delle quali con la vetta a quarantadue chilometri dall’arrivo. Gibo ai meno cinquanta decise che era venuto il momento di mettere sulle pedivelle rabbia e orgoglio, mollare la compagnia del gruppo, dimostrare a tutti che lui la prima posizione l'aveva meritata oltre ogni ragionevole dubbio.

 

Sotto una pioggia torrenziale rimase solo con la sua Maglia Rosa e la volontà di compiere qualcosa di eccezionale, perché quanto accaduto era il punto più basso mai raggiunto nella storia della competizione e doveva essere spazzato via con un assolo. Azzannò la strada che lo separava dal traguardo e quando tagliò il traguardo dovette aspettare oltre due minuti prima che il secondo, Paolo Savoldelli, facesse altrettanto. Due minuti che sarebbero stati un’impresa in qualsiasi altra occasione, ma non quel giorno. 

Vincitore: Gilberto Simoni in 85 ore 54 minuti e 1 secondo; 

secondo classificato: Abraham Olano a 7 minuti e 31 secondi; terzo classificato: Unai Osa a 8 minuti e 37 secondi; 

chilometri percorsi: 3.572.