La Predazzo-Falzes e i mulini a vento di Don Rubiera: meno 20 al Giro100

Giovanni Battistuzzi

Nella 19esima tappa del Giro d'Italia lo spagnolo conquistò una delle tappe più sadiche della storia del ciclismo recente. Ivan Gotti staccando Tonkov ipotecò invece la Maglia Rosa

La Predazzo-Falzes più che una tappa era una cattiveria, un giochetto malvagio, sadismo. La Predazzo-Falzes, bastava il nome, veniva fuori dalle lettere durezza e fatica. I chilometri erano 222, le salite otto, la speranza di uscirne senza il mal di gambe zero. Perché Costalunga, Pinei, Sella, Pordoi, Campolongo, Furcia, Riomolino prima dell’ascesa finale non davano speranza di altro. Era un’esagerazione piazzata alla diciannovesima giornata di corsa, con ancora il Tonale e il Mortitolo da affrontare nei due giorni successivi. L’esagerazione però molte volte fa bene, specie nel ciclismo, incanta e affascina. Soprattutto quando il Giro d’Italia aveva appassionato poco, saranno state le cadute, i ritiri, i percorsi spettacolari addossati nel finale di corsa.

C’era Ivan Gotti in Maglia Rosa, Pavel Tonkov grande sfidante e favorito per quella finale, una fuga nutrita e motivata, un sacco di salite e di pioggia sulle strade. Sull’asfalto viscido della pioggia ci finì disteso anche il russo che il traguardo era ancora lontano settanta chilometri. L’italiano non lo attaccò, ma non rallentò nemmeno troppo, lo aspettò, ma non regalò niente e Tonkov lo riprense solo dopo dieci minuti di inseguimento. Il russo era nervoso, l’italiano calmissimo, sapeva che in una tappa del genere, con un tempaccio del genere, sono le energie che si preservano a generare quelle che uno avrà negli ultimi chilometri. Era formica Gotti, prima di attaccare studiava e raccimolava. E così lasciò Tonkov provare a smaltire la rabbia sui pedali, poi scattò, lo staccò, se ne andò da solo.

 

Se Gotti si giocava il Giro e amministrava, valutava con intelligenza quand’era il momento di tentare l'allungo, José Luis Rubiera all’amministrazione non era adatto, l’intelligenza la utilizzava per non sentire la fatica alle gambe, il momento di tentare era sempre. Rimase sette ore in sella e per sei ore e mezza fu davanti, prima tra molti, poi da solo. Era mattina che tra gli avanguardisti s’era trovato, era pomeriggio che tutti quelli che con lui erano partiti li aveva già persi per strada da un pezzo. Rubiera si era disinteressato dei problemi di Tonkov e della cavalleria intelligente del rivale, aveva continuato a pedalare come nulla fosse, si era liberato della compagnia di chiunque e aveva proseguito, fregandosene di chi gli aveva riservato quella cattiveria dolomitica. Rubiera era un Don Chisciotte che aveva trovato il modo di abbattere i mulini a vento, perché non aveva trovato un Sancho Panza a mettere in dubbio il suo mondo. Sotto l’arrivo ci arrivò a mani alzate e con la faccia incredula, quasi volesse dire scusate non l’ho fatto apposta.

Vincitore: Ivan Gotti a 102 ore 53 minuti e 58 secondi;

secondo classificato: Pavel Tonkov a 1 minuto e  27 secondi; terzo classificato: Giuseppe Guerini a 7 minuti e 40 secondi;

chilometri percorsi: 3.918.