Han Li, l'uomo di fiducia del nuovo proprietario del Milan (foto LaPresse)

Il tono dimesso di Li Yonghong e quell'effetto Cina che aumenta il nostro senso di vuoto

Lanfranco Pace

L’amato ex presidente è triste, noi tifosi dobbiamo fidarci del nuovo che avrà bisogno di tempo (e tifo) per riportare il Milan in alto.

Gli innamorati del Padrino, quelli che almeno una volta l’anno si sparano il I, dritto e freddo come una lama, il II arzigogolato e sontuoso, e persino quella mezza cagata del Padrino parte III, insomma i fan di tutta la saga, ricorderanno per filo e per segno la scena in cui Salvatore Tessio e Peter Clemenza chiedono a Don Corleone di liberarli dal vincolo di fedeltà e di concedere loro il permesso di staccarsi e mettere su la propria famiglia. Il vecchio e malandato padrino prende le loro mani e li guarda negli occhi: “Avete sempre fiducia in me? E allora abbiatene in Michael, è lui ora alla guida della Famiglia”.

 

E’ ufficiale dunque: è arrivato il successore. Solo che Silvio Berlusconi non ce lo ha comunicato prendendoci le mani e guardandoci negli occhi. Il paragone con cose di mafia non suoni irrispettoso o fuori luogo: poche cose hanno tratti che sono anche di mafia, la maledizione della fedeltà, l’identificazione esclusiva con una parte, con un clan, la voglia di sopraffazione e l’accettazione di istinti primari, animaleschi quanto le comunità dei tifosi.

 

L’amato presidente è triste, si sente, si vede, come se stesse attraversando un fiume portando sulle spalle sacchi di sale. Ci ha chiesto di fidarci, di credere che abbia davvero operato al meglio nell’interesse della società di cui resta primo tifoso. Glielo dobbiamo. Non tanto per i soldi con cui ha foraggiato per quasi un trentennio una spettacolare ballerina, quanto per i valori immessi nell’impresa, ottimismo, efficienza, lealtà sportiva, passione per la vittoria e cura dei dettagli: avesse avuto il braccino corto o attenzione quasi esclusiva al portafogli, alle possibili plusvalenze, fosse stato uno Zamparini, un Pozzo, un Lotito, non avrebbe vinto tanto né cambiato così profondamente il calcio in Italia. E non avrebbe diffuso tanta felicità collettiva. 

 

Però non possiamo fare molto di più che fidarci. Incrociare le dita e sperare. Il vincolo di fedeltà si è allentato, la passione incrinata.

 

Li Yonghong è sbarcato di sera, pare che addirittura si sia concesso brevi tratti a piedi: un tono dimesso rispetto allo sbarco in elicottero sulle note della cavalcata delle Valchirie. Indossa giacca e t-shirt, non certo doppiopetto gessati sei bottoni di Caraceni. Non sa dire nemmeno “fozza Inda” come Zhang Jindon neo proprietario dell’Inter e come lui digiuno di calcio: almeno domani dovrebbe essere presente allo stadio per assistere al derby che Zhang vedrà da Nanchino in compagnia di un miliardo di telespettatori.

 

Anche questo contribuisce ad aumentare il senso di vuoto, l’effetto Cina, troppo grande troppo lontana, non siamo nelle mani di un fondo americano o di uno sceicco odoroso di borotalco. Quando balla la Cina i numeri sono da brivido, i mercati da capogiro. Sarebbe pure un’occasione se non fossero intercorsi quasi nove mesi tra la firma del preliminare di vendita e quella del contratto vero e proprio, prova provata che il nuovo padrino arranca, sembra pazzesco dirlo di uno che ha comunque mezzo miliardo di dollari di patrimonio personale ma è così.

 

Vero è che trattare con Silvio B. non è una sinecura, il prezzo richiesto era molto alto ma se oggi si è pronti a pagare cento milioni per un talento in erba cioè acerbo si dovrà pure ammettere che un club fra i più titolati al mondo possa valere sette volte tanto. E per una grossa preda occorrono professionisti della caccia grossa.

 

Ci può essere di tutto, nel nostro futuro. L’ipotesi meno probabile è finire come il City di Manchester o il Psg o il Chelsea, a fare la ballerina per un nuovo proprietario unico molto ricco. Più probabile finire nelle mani di anonimi fondi di investimento come il Manchester United, che è il club più ricco al mondo ma da quando se ne è andato sir Alex Ferguson è come se avesse perso l’anima. O come l’Arsenal, neppure lui ha un’anima ed è pure meno ricco.

 

In effetti ogni anno ritroviamo gli stessi a lottare per la supremazia, sono i primi nomi che a ognuno di noi vengono in mente quando ci chiediamo chi potrà dominare in Europa ed eventualmente salire sul tetto del mondo: non sono solo i soldi a fare la differenza. E’ il senso di appartenenza, l’identità, le radici. Il Real Madrid è una grande forza politica e comunicativa, appetibile fiore all’occhiello per qualsiasi imprenditore spagnolo. Il Barcellona conta su un territorio di cui è bandiera e cuore pulsante, su un popolo che corre a riempire uno stadio da novantamila posti anche quando arriva l’ultima in classifica. Il Bayern infine è l’espressione massima dello spirito bavarese, più della stessa birra. 

 

Noi abbiamo perso terreno e risalire non sarà solo questione di soldi. Ci vorranno anche visione, abilità, tenacia. E come al solito fortuna. Ci vorranno i tifosi. Tutti. Ci toccherà ingoiare e fare come Clemenza, il panzone che rimase fedele al nuovo padrino e si cavò le sue belle soddisfazioni. Mentre l’opportunista Tessio tradì nel miraggio di più lucrosi guadagni e potete immaginare che brutta fine fece.

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  • Giornalista da tempo e per caso, crede che gli animali abbiano un'anima. Per proteggere i suoi, potrebbe anche chiedere un'ordinanza restrittiva contro Camillo Langone.