Tom Boonen durante la Parigi-Roubaix del 2010 (foto LaPresse)

L'ultima Parigi-Roubaix di Tom Boonen

Giovanni Battistuzzi

Il corridore fiammingo saluta tutti dopo quindici anni di gare in quella corsa che lo ha lanciato nel ciclismo. Gli ultimi 55 chilometri di pavé di un gran "matto" della bicicletta

La prima volta fu epifania. Era il 2002, era il 14 aprile, era la centesima edizione, era una faccia da studente universitario che sembrava capitato là per caso. La prima volta era partito gregario, era un tempo cane, era pioggia e fango, era Johan Museeuw da solo avanti a tutti per quarantuno chilometri. La prima volta che Tom Boonen apparve era tutto questo, era soprattutto una delle più incredibili Parigi-Roubaix della storia.

 

Quel 14 aprile del 2002 Johan Museeuw, il miglior corridore degli anni Novanta sul pavé, tra i migliori della storia del ciclismo, compiva la sua ultima impresa nel nord della Francia, un assolo fantastico su pietre viscide, coperte dal fango. Quel 14 aprile del 2002 Tom Boonen, che doveva essere portaborracce dell’americano George Hincapie, vide il capitano finire in un fossato, preferì proseguire e finì terzo. Museeuw conquistò la sua terza Roubaix, Boonen si rivelò.


Paris Roubaix 2002 di super_hugo

Su quel viso da studente universitario capitato lì per caso sono passati quindici anni e dodici Parigi-Roubaix, e sono rughe, tempo, migliaia di chilometri. Sono passate soprattutto quattro vittorie, e sono tante, tantissime. Solo Roger De Vlaeminck, il Gitano di Eeklo, Monsieur Pavé, aveva saputo fare altrettanto. Ne manca ancora una, una soltanto, l’ultima, la tredicesima, altri 257 chilometri da percorrere, altri ventinove settori di pavé da superare, cinquantacinque chilometri di pietre. Poi basta. A Roubaix, sul velodromo della città francese al confine con il Belgio, che è Francia solo geograficamente, perché tutto lassù – dalle bici in giù – sa di Fiandre, Tom Boonen dice addio alle corse.

 

E questo non può essere un giorno come tutti gli altri. E non può esserlo perché la Parigi-Roubaix non è una corsa come tutte le altre. Perché la Parigi-Roubaix non è una corsa, è una prova d’equilibrio, un “elogio alla follia, l’assenza dell’umano discrimine tra sensatezza e insensatezza”, a dirla con Antoine Blondin, francese, soprattutto scrittore prestato al giornalismo.

Roubaix è un mondo a parte, un paesotto di confine che premia corridori di confine, in questo caso sportivo, non geografico, gente capace di trovare gradevole pedalare sulle pietre, su pezzi di strade di campagna dimenticate da tutto, prima di tutto dall’evoluzione. La Roubaix è una danza, inospitale e riservata a “matti con un deprecabile rispetto per se stessi”, disse Rudi Altig, che poi aggiunse: “Talmente bella però da essere irresistibile”. Perché stare in piedi sul pavé è abilità che esula dal ciclismo, che crea una categoria di corridori a parte, gente da Roubaix, che ogni stagione si danna sulla bicicletta aspettando un giorno soltanto.

 

Per Tom Boonen questo non è mai stato il giorno, colpa della sua nascita fiamminga, dell’amore per i muri delle Fiandre, della sua capacità di vincere molto: tappe al Tour de France, alla Vuelta di Spagna, in tutte le altre corse del Nord dell’Europa, un Mondiale. Sarà però il suo ultimo giorno in gara, l’ultimo buono per conquistare l’eccezionalità del quinto successo in una carriera già eccezionale. Il giro e mezzo sul velodromo di Roubaix saranno i suoi ultimi metri con il numero attaccato alla maglietta.

 

Tom Boonen sul pavé è stato un maestro, uno di quelli per cui vale farsi una nottata in tenda tra i campi pur di vederlo passare pochi secondi, per cui vale la pena rinunciare a qualsiasi impegno o chiamata dal mondo pur di vederlo in televisione correre sulle pietre. Perché il pavé, che sia quello della Roubaix o del Fiandre, oppure di tutte le altre corse che si disputano tra i fiamminghi da febbraio ad aprile, era la sua dimensione, il suo palcoscenico, talmente adatto a lui che gli si può anche perdonare di aver vinto anche altrove. “Sia lodato il corridore che altro non vincerà se non un Roubaix, sarà l’eletto”, disse Charles Croupelandt che a Roubaix era nato, la Roubaix riuscì a conquistarla due volte, ma ebbe la sfortuna di vincere anche quattro tappe al Tour de France.

 

Tom Boonen il 9 aprile del 2017 si ritira, pedala sulle sue ultime pietre, attraversa la sua ultima Roubaix.

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