Giovanni Battaglin

Il doppio scacco matto al ciclismo di Giovanni Battaglin: meno 37 al Giro100

Giovanni Battistuzzi

Il corridore di Marostica nel 1981 realizza quello che prima di lui era riuscito solo a Eddy Merckx: vincere in uno stesso anno Vuelta di Spagna e Giro d'Italia

Il 5 giugno del 1981, negli ultimi due chilometri della ventesima tappa del Giro d’Italia andò in scena la lotta tra la leggerezza e la potenza, tra l’eleganza e la forza. Il gruppo era partito da San Vigilio di Marebbe quel giorno e aveva percorso già novantatto dei cento chilometri previsti. Fu allora che alle spalle dei due avanguardisti di giornata, gli svizzeri Beat Breu e Joseph Fuchs, tutto si decise.

La salita era diventata arrampicata, la strada un pugnale conficcato nei polpacci per quanto dolorosa, per quanto irta. Lì sotto le Tre Cime di Lavaredo Giovanni Battaglin si girò a guardare Beppe Saronni, vide il suo volto contratto in una smorfia di fatica, si alzò sui pedali e salutò il rivale e tutto quello che restava del gruppo dei migliori. Saronni provò la resistenza, gli si incollò alla ruota. Procedettero vicini, come fossero uniti in una danza bislacca, in una sofferenza che prendeva due forme opposte: il primo steso e in piedi sulle pedivelle, l’altro avvinghiato al manubrio come fosse legno in mezzo al mare. Battaglin non si girò più a sincerarsi delle sorti dell’avversario, tentò nuovamente l’azzardo. Gli bastò l’urlo del pubblico per capire che l’affondo era andato a buon fine. Come il giorno prima salendo sul Passo Furcia, quando era rimasto solo, ma con troppa discesa per guadagnare abbastanza su Saronni, Prim e Contini, che per tre secondi aveva difeso la Maglia Rosa.

 

Quel 5 giugno l’arrivo era in cima, affianco al Rifugio Auronzo, e lui iniziò a zompettare con la sua solita eleganza sulla bicicletta. La schiena di Battaglin diventava piccola agli occhi di Saronni, i secondi di ritardo si trasformavano in decine, la salita diventava in una maledizione. Gli elvetici davanti, ormai irraggiungibili, ma Battaglin non se ne curava. Era partito da Marostica per la maglia più importante, una tappa l’aveva già conquistata e in palio non c’era solo una corsa, c’era la storia. Il 10 maggio aveva battuto tutti alla Vuelta di Spagna, il 13 aveva intrapreso l’avventura del Giro, con qualche speranza e la certezza che sarebbe stata una faticaccia. La gamba però era rimasta buona e l’idea che prima di lui l’accoppiata italo-spagnola era riuscita solo a Eddy Merckx, bastava a fargli sopportare qualsiasi cosa. E così il veneto accelerò ancora, perché mancava una cronometro tra lui e la fine del Giro e partire con soli pochi secondi di vantaggio su Saronni sarebbe stato un folle errore. In cima, all’arrivo, anticipò il rivale di 22 secondi che sommati a quelli che aveva già in saccoccia facevano 59, un gruzzolo discreto, che poteva essere sufficiente.

Il 7 giugno a Verona concluse il Giro in Maglia Rosa, precedendo Saronni anche contro il tempo. E in quel 1981, Giovanni Battaglin da Marostica fece un doppio scacco matto al ciclismo.

 

Vincitore: Giovanni Battaglin in 104 ore 50 minuti e 36 secondi; 
secondo classificato: Tommy Prim a 38 secondi; terzo classificato: Giuseppe Saronni a 50 secondi; 
chilometri percorsi: 3.895.