Quattro fratelli al Giro d'Italia. Il romanzo familiare dei Pettersson: meno 47 al Giro100

Giovanni Battistuzzi

Nel 1970 Eddy Merckx decide di non partecipare alla corsa Rosa. Tutti aspettano Gimondi, ma dal gruppo esce uno svedese: Gosta Pettersson

Erano quattro, erano biondi, allampanati e con la faccia lunga e spigolosa. Pedalavano, molto e velocemente. Pedalavano qualunque fosse il clima, la stagione, purché fossero assieme, purché fossero in quattro. Li credevano pazzi quando dicevano in giro di voler fare i corridori, che quella era Faglum, mica Göteborg, che quello era un posto di gente seria, mica una città di sbandati. Li credevano pazzi quando a febbraio prendevano la bici e iniziavano a correre che fuori era ancora tutto sepolto dalla neve. Poi però arrivavano le gare e a casa le medaglie, quelle mondiali: oro ’67, ’68, ’69, tutti assieme, tutti e quattro a rappresentare tutta la Svezia: Gosta, Erik, Sture e Tomas, tutti Pettersson, una sola famiglia eletta a nazione.

Assieme costruivano un unico movimento, un sincronismo perfetto. Gosta era il più vecchio, la guida, era calcolo e potenza, capacità di capire prima di tutti cosa sarebbe successo. Thomas era il più giovane e aveva il talento dei grandi corridori, ma anche la passione del buon cibo e delle belle donne. Gosta aveva conquistato il bronzo mondiale categoria dilettanti nel 1964, aveva avuto proposte di contratto, ma si sarebbe dovuto separare dai fratelli e non volle. Anche perché le casse dello stato pagavano bene, i palazzetti erano sicuramente più caldi delle strade e la pista più remunerativa.

 

Solo nel 1970, a trent'anni, quando tutti i fratelli erano pronti per il passaggio nel mond dei professionisti, che Gosta si decise a dire di sì alle avances di Alfredo Martini che dalla bici da un po’ si era spostato in ammiraglia. Quattro vittorie, sesto al Giro d’Italia, terzo al Tour de France, tutto al primo anno nel ciclismo che conta. Scrissero: “Sorprendente, ma ha trent’anni”, “un talento sprecato”, “questo sarà il suo unico grande anno”.

 

Poi arrivò il 1971 e la decisione di Eddy Merckx di non partecipare alla corsa Rosa. Scrissero: “Non c’è Merckx, è il tempo di Gimondi”. Ma Felice aveva la schiena messa male e un ginocchio che gli doleva a ogni pedalata. E allora scrissero: “C’è Claudio Michelotto, uno che quando c’è da lottare è sempre in prima fila”. Michelotto andava forte e a Casciana Terme si ritrovò in Rosa. E in Rosa partì anche da Lienz verso Falcade, con il Tre Croci, il Falzarego, il Pordoi, il Valles a segnare il cammino. Michelotto non ci faceva caso, che in salita non aveva paura di nessuno che non fossero Merckx o Gimondi. Scrissero: “Sarà battaglia Micheletto-Moser”. Michelotto però il giorno prima aveva faticato e perso terreno, Aldo Moser quando le salite erano lunghe gli si affaticavano gambe e respiro. E così Pettersson decise che a fare l’incomodo fino alla fine non gli andava. Sul Passo Pordoi si mise in testa e non si girò mai. Non uno scatto, non un allungo, una pedalata dietro l’altra, ma in progressione. Solo Gimondi e lo spagnolo Galdòs rimasero con lui. Micheletto sparì, Enzo Moser si staccò, provò a rientrare, ma non ci riuscì. All’arrivo i minuti furono quasi quattro. La Maglia Rosa aveva preso la via della Svezia, sulle spalle di uno dei quattro fratelli Pettersson. Gosta, non il più forte, il più intelligente.

Vincitore: Gösta Pettersson in 97 ore 24 minuti e 3 secondi;

secondo classificato: Herman van Springel a 2 minuti e 4 secondi; terzo classificato: Ugo Colombo a 2 minuti e 35 secondi;

chilometri percorso: 3.567.