Romeo Venturelli è il ciclista al centro della foto

L'erede di Coppi che non volle vincere, Romeo Venturelli: meno 58 al Giro100

Giovanni Battistuzzi

Il Campionissimo aveva un progetto: chiudere la carriera lanciando uno dei promettenti ciclisti italiani della storia. Fausto però morì il 2 gennaio 1960. E Meo, dopo aver battuto Anquetil, si perse tra donne e cibo

Le cronometro non mentono. Si è soli contro il tempo, senza scuse e senza attenuanti, solo l’incedere di una pedalata dopo l’altra sulle pedivelle. Le cronometro non mentono. Contano le forze, certo, la forza, senz’altro, ma soprattutto concentrazione e determinazione, capacità di soffrire e di non abbassare mai il ritmo. Sono prove di carattere, non ci sono appigli al di là di se stessi, non si può bluffare. Sono un gesto innaturale in uno sport che è gruppo in avvio e solitudine verso l’arrivo, in uno sport nel quale sempre di più conta la squadra e come sempre premia l’eccezionalità del singolo. Eppure non mentono, sono una dimensione a sé, sono astrazione da tutto, puro esercizio di stile.

Jacques Anquetil sembrava fosse tutt’uno con la bicicletta quando sfidava le lancette. Era armonia ed efficacia, una sinfonia in movimento. Se ne accorsero tutti al primo Tour de France a cui partecipò. Era il 1957 e su tre cronometro (una a squadre) totalizzò tre vittorie. Quel Tour lo vinse. In Italia se ne accorsero due anni dopo: in quel Giro ne vinse due su quattro: a Salsomaggiore e a Susa, ma sul Vesuvio era tutta salita e a Ischia forò. Quell’edizione la chiuse al secondo posto. Si promise di chiudere in Rosa l’anno successivo.


Romeo Venturelli con Fausto Coppi nel 1959


Da Roma, il 19 maggio 1960 partì da grande favorito. L’idea era intrigante: conquistare la cronometro di Sorrento alla seconda giornata, vestire il simbolo del primato e non mollarlo più sino a Milano. Tra lui e il suo obiettivo c’erano venticinque chilometri, da Sorrento a Sorrento, scalata e discesa dal Monte Faito. Il francese si trasformò in furia, divorò le strade in 39 minuti e 8 secondi. Un tempo incredibile, gli avversari a oltre un minuto e dei tredici corridori che ancora dovevano arrivare nessuno poteva batterlo. Ne erano sicuri tutti, tanto che la giuria era pronta ad anticipare la cerimonia di premiazione. Tutti a parte uno: Romeo Venturelli. Meo scollinò sul Faito con 36 secondi dal francese. Buon tempo, dissero, disinteressandosi di lui. Meo però non si rassegnò. Si gettò in discesa come un folle, disegnò traiettorie perfette e nei chilometri finali in falsopiano spinse a tutta. Planò sul traguardo in un lungo ohhh. Trentanove minuti e due secondi. Primo posto. Maglia Rosa. Quando lo speaker annunciò il risultato tutto si bloccò, la folla era incredula, ammaliata. Solo sul volto di Anquetil, che ormai era pronto a salire sul podio di giornata, qualcosa si mosse disegnando un ghigno di rabbia.

Meo era al primo anno di professionismo, ma ciò non contra se eri stato scelto da Fausto Coppi per diventare il suo erede. L’idea era semplice: il 1960 doveva essere l’ultimo anno dell’Airone, lui capitano della San Pellegrino, Gino Bartali in ammiraglia, Meo il delfino, pronto a stupire. Fausto però morì il 2 gennaio e Venturelli si trovò senza mentore. Meo era forte, fortissimo, un fisico perfetto, passista formidabile, ottimo scalatore, discesista provetto, capace di ogni cosa. Di battere Van Looy in volata, di seminare Anquetil a cronometro, di staccare Gaul in salita, di recuperare tutto solo tre minuti ai fuggitivi in dieci chilometri, di staccarsi rientrare in gruppo, dire ai suoi compagni "visto cosa ho fatto" e girare la bici e ritirarsi.

Meo era emiliano di Sassostorno di Lama Mocogno a due passi da Pavullo nel Frignano, ha 22 anni e quella era la sua quarta vittoria al primo anno da professionista. Meo volava, era fenomeno vero, avrebbe potuto vincere tutto, non vincerà niente. A Sorrento ottenne la sua unica vittoria al Giro la sua terzultima in carriera. Quella sarà anche la sua prima e unica Maglia Rosa. La sera infatti la passò a festeggiare. A champagne, tanto, tantissimo. Si racconta che di lui si persero le tracce. E nacquero leggende. Come quella che lo vorrebbe a Pavullo la sera stessa a festeggiare con gli amici o come quella che lo vorrebbe nel letto della miss che lo ha premiato. I fatti del giorno dopo dicono che alla partenza era bianco come un lenzuolo, con gli occhi iniettati di sangue e le gambe molli. A Campobasso arrivò a oltre un minuto e mezzo dai primi, con la maglia tutta lercia dopo essere caduto in un fossato, a Pescara non si staccò solo perché i primi andarono troppo piano, il giorno dopo si ritirò.

Meo era così, un fenomeno, ma di poca voglia, nessuna propensione al sacrificio. Alla vita da corridore preferì il cibo, tanto, e le donne, molte. Uno che si allenava poco e male, che molte volte scompariva e che ritornava a fare l’atleta solo quando doveva chiedere un nuovo contratto. E forte com’era gli diedero fiducia in tanti, si pentirono tutti. Meo avrebbe potuto volare davvero, ma non lo volle mai, perché la “vita è una e se non ti diverti è sprecata. Potevo essere il migliore, forse, non lo sono diventato, amen, mi sono divertito molto comunque”, disse.

 

Vincitore: Jacques Anquetil in 94 ore 3 minuti e 54 secondi;

secondo classificato: Gastone Nencini a 28 secondi; terzo classificato: Charly Gaul a 3 minuti e 51 secondi;

chilometri percorsi: 3.481.

 

Per approfondire: Marco Pastonesi in "Meo volava" ha raccontato magnificamente tutta la storia, sportiva e non, di Romeo Venturelli