Il bimbo Defilippis e la dittatura di Coppi : meno 66 al Giro100

Giovanni Battistuzzi

Lo chiamavano il Cit, il bambino. E quando si presentò al via del Giro d'Italia del 1952 non aveva nemmeno un filo di barba. Vestì la maglia rosa, vinse una tappa e capì che il ciclismo era uno sport da gentiluomini

“E questo qui? L’avete preso all’asilo?”. Era febbraio e al raduno di Sanremo che segnava l’avvio della stagione Renzo Soldani, il capitano della Legnano, guardava il ragazzino che gli stava annoiato davanti con in faccia tutta lo scetticismo possibile. “Altro che asilo, questo qui sarà anche ragazzo, ma va che è un piacere”, gli rispose l’Avocatt. Soldani lo osservò di nuovo, ne valutò i polpacci e l’assenza di barba, poi allargò le braccia. Era pur sempre Eberardo Pavesi che l’aveva scelto, quello che in bici aveva corso il primo Giro d’Italia e che in ammiraglia di corse ne aveva vinte a centinaia e di Giri tredici con Brunero, Binda, Bartali e Coppi. 

 

A Nino Defilippis l’aria da bambino rimase per anni nel viso, per sempre nel soprannome, il Cit, bambino in dialetto piemontese. Per scacciare da se lo scetticismo ci volle invece pochissimo: due tappe e due salite, l’Abetone e le Piastre. Pavesi l’aveva mandato in avanscoperta per aiutare il capitano, ma il capitano era in una di quelle giornate storte che ormai gli capitavano un po’ troppo spesso e così gli diede il via libera. Nino si mise a spingere sulle pedivelle, raggiunse i primi in cima alla salita che fece nascere Coppi, si gettò con loro in discesa e solo la furbizia di Penna Bianca Conterno gli negò la vittoria. Si rifece l’indomani, quando sul traguardo di Siena arrivò due minuti dopo la fuga, ma ventinove secondi prima del gruppo. Maglia rosa a poco più di vent’anni. E ancora senza un pelo in faccia.

Il Cit tornò nei ranghi subito. Era pur sempre il suo primo Giro d’Italia e attorno campioni inarrivabili, almeno per lui che scalatore non era. Verso Rocca di Papa a cronometro faticò, sulle Dolomiti arrancò, ma non demorde che c’era quel fioretto da rispettare. Aveva promesso alla mamma di arrivare in testa vicino a casa, a Cuneo, visto che a Torino la corsa non passava. E gliel’aveva ricordato al telefono da Sanremo, dove la tappa sarebbe partita, suggerendole di portare lo spumante e i pasticcini, perché avrebbe vinto.

 

“Hai vent’anni, vuoi rovinarti la carriera? Per vincere devi chiedere permesso a Coppi, visto che sei fuori classifica. Esistono certe regole del gioco”, gli aveva detto il direttore di Tuttosport, Carlin Bergoglio. Nino non diede peso a quelle parole. E non gli diede peso neppure quando scattò sul Passo di Nava, quando pedalò avanti a tutti con Schaer, Biagioni e Clerici che gli dicevano di staccarsi perché la Bianchi di Coppi stava inseguendo, quando gli superò sotto l’arrivo e festeggiò sotto i loro occhi incazzati. Stava per andare dalla madre a stappare lo spumante quando l’Avocatt lo prese per un orecchio e lo trascinò da Coppi. Gli impose di chiedere scusa. Lui lo fece a occhi bassi, con la voce incerta. Coppi lo ammonì, gli ricordò che il ciclismo è sport da galantuomini, nel quale va sempre chiesto il permesso per andare in fuga. Poi visto il sincero pentimento del ragazzo e lo sguardo severo di Pavesi, il Campionissimo gli mise una mano sulla spalla e gli disse che nulla era successo, che aveva fatto una grande azione e che avrebbe avuto una carriera vincente davanti. Era la benedizione del campione. Nino gli promise che gli avrebbe reso il favore.

 

Avrebbe mantenuto la parola prima di quello che avrebbe immaginato.


 
Vincitore: Fausto Coppi in 114 ore, 36 minuti e 43 secondi; 

secondo classificato: Fiorenzo Magni a 9 minuti e 18 secondi; terzo classificato: Ferdy Kübler a 9 minuti e 24 secondi; 

chilometri percorsi: 3.964.