Fausto Coppi e Gino Bartali

L'Italia è divisa. Bartali, Coppi e la zuffa del Vigorelli: meno 71 al Giro100

Giovanni Battistuzzi

Nell'ultima tappa del Giro d'Italia del 1947 i tifosi dell'Airone e quelli di Ginettaccio iniziarono una battaglia verbale e a colpi di ortaggi. Fu l'emblema di una rivalità sportiva che divise il paese

Se le erano date per ventitré giorni e venti tappe in quel 1947. Uno contro l’altro ogni volta che la strada lo permetteva, ossia ogni volta che la strada si impennava sotto le loro ruote. Gino Bartali si era involato verso Genova, sul Passo della Scoffera; quel giorno aveva staccato Fausto Coppi di due minuti e quarantun secondi. Poi sempre assieme, sempre davanti a tutti. Sull’Abetone verso Prato, dove Ginettaccio aveva conquistato la maglia rosa; sul Colle della Sponga verso Roma; sul Passo Mauria verso Pieve di Cadore. Uno scattava e l’altro lo seguiva, l’altro contrattava e il primo gli si metteva a ruota, un gioco di inseguimento, quasi fosse una danza d’amore. Poi venne la diciassettesima tappa, la Pieve di Cadore-Trento, 194 chilometri tra le cime e le valli delle Dolomiti. Poi venne il Passo Falzarego e la sagoma dell’Airone che si fa sola, avanguardista, mentre quella del toscano si fa curva e torva alle prese con una catena che si era incastrata tra il pignone e la ruota. Quella di Coppi fu fuga, quello di Bartali inseguimento, vano. Coppi si vestì di rosa e in rosa arrivò a Milano, anche perché quattro giorni mancavano all’epilogo e le salite erano ormai finite. 

Al velodromo Vigorelli il Giro d’Italia arrivava dal 1936 e al velodromo Vigorelli di solito gli applausi accoglievano il vincitore e a uno a uno tutti quelli che al traguardo arrivavano. Era una giornata di festa collettiva, una sorte di Natale sportivo dove sugli spalti giravano bottiglie di vino, qualche salame, molti bambini pronti all’invasione per stringere la mano a un ciclista. 

 

Il 15 giugno del 1947 però mentre Coppi sorrideva ai compagni di squadra e Bartali brontolava con i suoi, gli evviva divennero fischi e un po’ di insalata e verdura finirono poco amorevolmente sulla bici di Ginettaccio. Non ne fu contento. I borbottii che di solito dedicava a chi vestiva la sua stessa casacca, si rivolsero al pubblico assieme al consiglio di andarsene a quel paese. Un’inversione carnevalesca: gli spalti divennero teatro, la pista palcoscenico. I tifosi di Coppi insultavano Bartali, quelli di Bartali, Coppi, i primi si intrattenevano con cori contro i secondi, i secondi facevano lo stesso a indirizzo dei primi, in un climax ascendente di parole sempre più pesanti. 

Armando Cougnet guardava tutto questo scuotendo la testa con la mano davanti alla bocca al centro del velodromo. Chiamò a se i due avversari e gli impose un abbraccio sul podio e un giro di pista fianco a fianco. I fischi ritornarono applausi e il tripudio fu generale. 

Quel giorno al Vigo sembrava di essere tornati all’inizio della storia del ciclismo, quando ogni corridore aveva il suo manipolo di tifosi appassionati e tra loro non era raro scoppiasse qualche zuffa. Ma una così netta divisione mai era accaduta. Era come se gli appassionati si fossero divisi in due fazioni, chi per Coppi, chi per Bartali, e attorno a questi due corridori ci fossero due mondi incompatibili. Coppi era progresso, modernità, un socialismo a pedali. Bartali era tradizione, fede, un cristianesimo a due ruote. L’Italia che votava a sinistra contro quella che preferiva il centro. E poco importava se i due messi in mezzo fossero più simili di quello che davano a vedere. Entrambi uomini di fede e legati in modo ombelicale alle loro colline, entrambi uomini di carisma che riuscivano a farsi amare dai loro gregari. Entrambi soprattutto rispettosi appassionati della figura dell’altro, quasi fossero facce diverse di una stessa medaglia. Alla Nazione Ginettaccio dopo aver annunciato il ritiro disse: “Senza Fausto avrei vinto sicuramente di più, ma sono sicuro che la gente mi avrebbe voluto bene di meno”. Quasi le stesse parole le pronunciò al Secolo XIX pochi anni dopo l’Airone. 


 
Vincitore: Fausto Coppi in 115 ore, 55 minuti e 7 secondi; 

secondo classificato: Gino Bartali a 1 minuto e 43 secondi; terzo classificato: Giulio Bresci a 5 minuti e 54 secondi; 

chilometri percorsi: 3.843.