Foto di Nationalmuseet via Flickr

Quando i francesi si incazzarono. Lo "scippo" della prima cronometro: -80 al Giro100

Giovanni Battistuzzi

La nascita del Grand Prix des Nations e lo sbarco in Italia della prova contro il tempo: così il Giro d'Italia anticipò il Tour de France. Era il 1933 e quell'edizione la vinse ancora Alfredo Binda

Gaston Bénac aveva baffi alla Poirot, ma non era belga, portava il cravattino fuori dalla giacca, ma non per fare il dandy, borbottava spesso, ma non per lamentarsi, e ce l’aveva con Henri Desgrange, il patron del Tour de France. Diceva che vedeva il ciclismo all’antica e non aveva tutti i torti. Gaston Bénac dirigeva il settore sportivo del Paris-Soir e più di una volta aveva proposto a Desgrange di poter collaborare con lui per realizzare la più grandiosa corsa a tappe del mondo. Il direttore dell’Auto gli aveva sempre risposto che quella che lui dirigeva era già la più grandiosa corsa a tappe del mondo. Ci volle un lustro di rifiuti per far desistere Bénac, che nel frattempo era riuscito a trasformare una pagina di scialba cronaca sportiva in due pagine di ottima letteratura di sport, portando il Paris-Soir a numeri di vendite mai viste. E soprattutto per fargli decidere di mettersi in proprio. Se sir Henri, come lo chiamava con un certo sciovinismo francese, non voleva adeguarsi ai tempi che cambiavano gliela avrebbe fatta vedere lui. E così fece. Nel 1930 con Albert Baker d'Isy gettò le basi per la nascita del mondiale di ciclismo: 170 chilometri a cronometro, un massacro sportivo che dominò Learco Guerra. Quando lui e nobiluomo parigino litigarono con gli altri membri della Union cycliste internationale che si dimostrarono “troppo suscettibili ai lamenti dei corridori” preferendo la corsa in linea alla cronometro.  

Nel dicembre del 1931 annunciò in prima pagina sul Paris-Soir che dall’anno successivo si sarebbe corso il Gran Prix des Nations, “un grande evento ciclistico nel quale i corridori si sfideranno solitari contro il tempo per dimostrare alla Francia e al mondo chi di loro è il miglior ciclista del pianeta”, perché “è solo in questo genere di sforzo che la forza e la resistenza si possono esprimere fregandosene della variabile fortuna”. 

 

Fu un successo. Maurice Archambaud, dieci tappe al Tour in carriera e un record dell’Ora, vinse correndo tra due muri ininterrotti di persone. Tra loro c’era pure Maurizio Toccagnini, giornalista a tempo perso, soprattutto viveur, rampollo, amante dei lunghi viaggi in bicicletta. E amico del direttore della Gazzetta Emilio Colombo. Così quando nel novembre del 1932 si incontrarono a Milano gliene parlò a lungo, declamandone la bellezza del vedere questi uomini correre uno a uno, soli, contro gli altri e contro il tempo. Colombo ne parlò con Cougnet e quest’ultimo ne rimase entusiasta: “Così freghiamo i francesi”. Detto fatto. Quando iniziò a disegnare il percorso per il 1933 programmò per il 23 maggio i 62 chilometri per raggiungere Ferrara da Bologna. La prima cronometro della storia del Giro d’Italia, la prima cronometro della storia in una corsa a tappe. 

 

Henri Desgrange non fu per niente contento di ciò. Licenziò uno dei consiglieri del Tour per non licenziare se stesso. La corsa francese la cronometro la abbracciò solo il 27 luglio 1934, La Roche sur Yon – Nantes, 90 chilometri. 

 

Quei 62 chilometri furono divorati da Alfredo Binda. Fu quello il quinto e ultimo Giro d’Italia conquistato dal Trombettiere di Cittiglio, quello che il Leone delle Fiandre Joseph Demuysère sostenne per anni gli fosse stato rubato. Ce l’aveva con gli abbuoni, sosteneva che senza quei quattordici minuti regalati dall’organizzazione quel Giro l’avrebbe vinto lui. Binda si limitò a sorridere. Allargò le braccia. Sospirò profondamente. Poi disse: “Guarda un po’, ora fanno delle vittorie una colpa”. 

 
 
Vincitore: Alfredo Binda in 111 ore 1 minuto e 52 secondi; 

secondo classificato: Joseph "Jef" Demuysère a 12 minuti e 34 secondi; terzo classificato: Domenico Piemontesi a 16 minuti e 31 secondi; 

chilometri percorsi: 3.343.