Ottavio Bottecchia al Tour de France (foto LaPresse)

Meno 90 al Giro100: Bottecchia non replica

Giovanni Battistuzzi

L'edizione del 1923 è la prima e l'unica corsa da Ottavio, che poi preferirà gli "schei" del Tour alla gara italiana. Fu l'ultima vinta da Costante Girardengo.

Quando Monsieur Montet, capo dell’Automoto, una delle squadre più importante di Francia, se lo trova davanti nel 1923 vede un omino “dagli occhi arrossati, dagli abiti logori, dal viso intagliato dalla fatica dal quale spunta il naso, dai baffetti striminziti”. Aveva ventisette anni, ma ne dimostrava quaranta, era magro come la fame, ma mancano poche settimane al Tour de France e non c’è tempo per cercare un altro corridore. A portarglielo là davanti è Aldo Borrella, che di professione fa il giornalista al Petit-Parisien e che lui stesso aveva assunto come addetto stampa della squadra. Monsieur Montet avrebbe voglia di licenziarlo in tronco quell’italiano, ma è costretto a fidarsi. Firmano il contratto e gli allunga qualche franco per mangiare qualcosa e pagarsi una stanza. Lui li prende, li mette nel tascapane liso che portava al collo e dal quale non si separava mai e se ne andò senza fiatare.

Un mese dopo il patron del Tour Henri Desgrange scriverà: “Bottecchia è la rivelazione più sensazionale che ci abbia dato il Giro di Francia. Ecco un uomo che, senza conoscere una parola della nostra lingua, in paese straniero, dimostra di essere un vero campione. (…) Egli è tanto veloce all’arrivo quanto coraggioso e tenace in montagna”. Quel Tour lo chiuderà secondo alle spalle del capitano Henri Péllissier.

Aveva iniziato tardi Ottavio Bottecchia a correre, a venticinque anni, che era già in Francia a fare il muratore, perché a casa sua, in Veneto, di lavoro non ce n’era e da mangiare ancor meno. Iniziò perché, trasferitosi a Clermont-Ferrand e ottenuta la sua prima bicicletta per raggiungere il lavoro, ci aveva trovato gusto a pedalare: si arrampicava sul Puy de Dôme, il vulcano che sovrasta il paesino francese, e non c’era verso di stargli dietro, neppure se ti chiamavi Jean Alavoine e al Tour de France ti eri piazzato già due volte secondo.

 

Bottecchia ritornò a casa nel 1922 e l’anno successivo, convinto da Luisin Ganna, provò a vedere che effetto faceva gareggiare contro i campioni. Ci volle poco perché tutti capissero quanto quell’uomo la cui “figura compendiava tutto ciò che di spaesato e di sperduto può esprimere un uomo solitario”, che “teneva da natura un viso ossuto e stirato, due occhi bigi un po’ spiritati e un po’ maligni, proprio come un uccello rapace e un nasone come un fendente d’osso”, a dirla con Bruno Roghi, avesse un talento non comune nell’andare in bicicletta.

 

Era la seconda tappa e sulla salita che porta a Bossolasco Tavio si mise in testa al gruppo dei più forti e senza nemmeno accorgersene rimase da solo. I migliori si sparpagliarono alla rinfusa alle sue spalle, “con il mal di gambe e il mal di testa a vedere quel piccolo uomo spingere così forte su quelle pedivelle”, racconta Cougnet. Bottecchia era una furia. Forse troppo. Giù dai Tetti di Montezemolo si ritrovò sdraiato per terra con una ruota storta. Arrivò al traguardo 12 minuti dopo il vincitore Bartolomeo Aymo, dopo essere rimasto fermo per oltre venti a riparare la bici.

 

Fu quinto a Milano in classifica generale, primo tra i senza squadra, gli isolati. Augusto Carlo Rossini sul Corriere lo ritrasse così: “Le sue bielle erano azionate con sincronismo meccanico e con dosata distribuzione di energia: una macchina non avrebbe dimostrato maggior precisione”.

 

Al Giro Bottecchia non tornò più. Si lasciò volentieri rapire dal Tour de France, dagli incitamenti “Botescià-Botescià” dei tifosi transalpini e dai guadagni molto maggiori che si avevano in terra di Francia. A lui servivano gli "schei", per questo correva. A lui serviva una casa per la sua famiglia e da mangiare, "che mai i gà magnà". Vinse due Tour, primo italiano a farlo, primo a vestire di giallo, primo e sempre. Poi si decise a ritornare a correre in Italia, perché le case erano fatte e il mangiare in tavola c'era e abbondante, e serviva la gloria. Non ci riuscì. Trovò la morte sulle strade di casa. Caduto o picchiato a sangue, ancora non lo si sa. Che fosse il caso, un errore o una squadriglia fascista non importa, Bottecchia non replicò mai più al Giro.

 

Vincitore: Costante Girardengo in 122 ore 58 minuti e 17 secondi;

secondo classificato: Giovanni Brunero a 37 secondi; terzo classificato: Bartolomeo Aymo a 10 minuti e 25 secondi;

chilometri percorsi: 3.202