“Perché Suning compra l’Inter?” era la domanda che campeggiava sullo sfondo della conferenza stampa durante la quale il gruppo cinese annunciava l’acquisto del club milanese (foto LaPresse)

La terza invasione cinese nel mondo del calcio

Francesco Caremani

Dopo russi e americani, tocca ai cinesi. Come cambia la geopolitica pallonara europea. Il potere delle holding e i progetti ambiziosi per vincere spendendo

Il Milione al contrario. La Via della seta che diventa quella del cuoio, non più attraverso l’Asia bensì attraverso gli algoritmi dei mercati finanziari. Il calcio cinese e i suoi capitali non se ne stanno più nascosti dietro la Grande Muraglia, ma come un virus su un aeroplano stanno contagiando l’intero pianeta, in particolare l’Europa e il Sudamerica, lì dove il football è tradizione e brand. Una contaminazione fatta soprattutto di soldi, soldi per acquistare i club, o parte di essi, soldi per comprare i calciatori, con un cambio di marcia repentino: non più e non solo i Tévez, a fine carriera, ma anche gli Oscar, che ha da poco compiuto venticinque anni. E questo nonostante proprio ieri l’Amministrazione generale dello sport di Pechino abbia annunciato provvedimenti: “Cifre irrazionali. Saranno introdotti limiti a salari e costi dei cartellini”. Un cambio di marcia frutto del combinato disposto che in Cina unisce lo stato con l’impresa privata dando vita a un sistema capitalistico irripetibile altrove, che produce una forza economica senza precedenti.

La stessa che si sta riversando sul calcio europeo: dai 45 milioni di euro pagati circa un anno fa dal Guangzhou Evergrande per il colombiano dell’Atletico Madrid, Jackson Martinez, operazione mediata da Jorge Mendes e dalla sua Gestifute, ai 60 pagati dallo Shanghai Sipg al Chelsea per il brasiliano Oscar, con un ingaggio di 25 milioni di euro l’anno. Le holding cinesi hanno, inoltre, acquisito in tutto o in parte vari club europei per una cifra che attualmente si aggira sui 2,5 miliardi di euro. In Inghilterra Aston Villa, Birmingham, West Bromwich Albion, Wolverhampton Wanderers e Manchester City. In Francia Sochaux, Auxerre, Olympique Lione e Nizza. In Spagna Atletico Madrid, Espanyol e Granada. Infine Slavia Praga, Ado Den Haag e Inter, in attesa del closing rossonero. Dal punto di vista economico, se escludiamo i primi investimenti statunitensi nella Premier League, siamo alla terza invasione calcistica, dopo quella russa, che prima delle altre ha cambiato la geopolitica del football europeo, e quella araba. “Un’azione tesa a controllare il calcio della tradizione, senza contare l’acquisizione di Infront, agenzia globale del marketing sportivo e vero dominus del campionato italiano” dice al Foglio Pippo Russo (autore di M. L’orgia del potere. Controstoria di Jorge Mendes, il padrone del calcio globale, Edizioni Clichy).

“In verità questa è solo la terza manovra in ordine temporale, preceduta dall’acquisto di calciatori stranieri di qualità, non da cimitero degli elefanti, per lanciare la Chinese Super League, e dall’ingaggio d’interi staff tecnici, soprattutto portoghesi, per crescere i propri settori giovanili. Che il finale sarà diverso da ciò che hanno tentato gli arabi sta nei numeri: la Cina rappresenta da sola un sesto della popolazione mondiale”, sottolinea Russo. Jorge Mendes, nel 2015, ha stretto un accordo con la holding cinese Fosun International Limited, i cui interessi spaziano dall’immobiliare alla salute, dal turismo alla moda, dal calcio al bancario. Mendes, Kia Joorabchian da una parte, Eduardo Uram e Joseph Lee, Kirin Soccer, dall’altra, sono i grandi broker che gestiscono e smistano gli investimenti cinesi nel calcio mondiale: “Sono i garanti di quei capitali. Certamente senza di loro e i fondi d’investimento (Tpo), che oramai controllano il futebol sudamericano, dove i club sono quasi tutti indebitati e di conseguenza senza alcun potere contrattuale sui giocatori, l’accesso cinese al football europeo sarebbe stato più difficile. Anche questa, però, è una situazione transitoria perché i cinesi si stanno ponendo il problema in assenza di una propria classe dirigente sportiva e di propri intermediari. Sono ricchi ma non scemi, quindi presto si faranno trovare pronti pure su questo versante”, ricordo Pippo Russo.

E come fanno a convincere calciatori come Witsel, che preferiscono una squadra cinese alla Juventus e alla possibilità di giocare la Champions League? “Un po’ com’è accaduto con gli arabi. Si comprano giocatori che possono tornare in Europa tra due, tre, anni, prendendosi un biennio sabbatico remunerato oltre ogni più fervida immaginazione e continuando poi ad avere possibilità di carriera nei campionati maggiormente prestigiosi, con prestiti onerosi. Cioè, i cinesi resteranno proprietari del cartellino, lucrandoci”. A differenza del Sudamerica, quindi, dove i fondi d’investimento si mangiano quasi tutta la torta, in Europa i club guadagnano cifre importanti, decisamente sovrastimate, da giocatori che non rientrano più nel progetto tecnico del proprio allenatore, mentre i super procuratori prendono percentuali da capogiro sui contratti stipulati dai propri assistiti con i club della Chinese Super League. Considerando poi i soldi offerti a ogni singolo calciatore si chiude il cerchio della soddisfazione economica. I risultati sportivi non si sono fatti attendere visto che il Guangzhou Evergrande negli ultimi quattro anni ha vinto due edizioni dell’Afc Champions League, nel 2013 con Marcello Lippi e nel 2015 con Luiz Felipe Scolari. In precedenza l’unico club cinese a vincerla era stato il Liaoning nel 1990, quando la Grande Muraglia oscurava ancora tutto e tutti. Più difficile il percorso della Nazionale che ha perso due finali di Coppa d’Asia, nel 1984 contro l’Arabia Saudita e nel 2004 contro il Giappone. Uno dei motivi che hanno scatenato la corsa cinese al calcio.

Pippo Russo, con i suoi libri d’inchiesta da una parte, e i documenti pubblicati da Football Leaks dall’altra, mette in evidenza un deficit di trasparenza del football mondiale che stride con la sua popolarità. Un deficit nel quale nuotano i protagonisti di questa nuova era del calciomercato che, dal punto di vista tecnico, rischia d’impoverire i club europei e i settori giovanili sudamericani, da decenni nelle mani delle Tpo. Mentre la Doyen Sport dal 2015 ha ingaggiato una battaglia legale proprio contro il divieto delle Third Party Ownership della Fifa, con l’avvocato Jean-Louis Dupont, quello della sentenza Bosman. Cosa c’entrano questi due elementi con l’aggressività economica cinese nel calcio europeo? Chiedetelo ai paradisi fiscali, dove, secondo i documenti pubblicati da Football Leaks, finisce la maggior parte di quei soldi.

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