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Non solo calcio: la Cina si compra la Lampre e l'Italia scompare dallo stradario del grande ciclismo

Giovanni Battistuzzi
Il gruppo diretto dall’ex campione Beppe Saronni è stato acquistato dalla Tj Sport Consultation: era l’unica nostra squadra nel World Tour, la serie A del ciclismo mondiale. Gli interessi di Pechino per la bici e le non decisioni della Federazione italiana. Perché siamo passati da essere centro del ciclismo a periferia desolata?

L'autunno del nostro ciclismo si è trasformato in inverno. L'anno zero è fissato per il 2017: non sarà però l'inizio di una rivoluzione o almeno di una restaurazione. Niente di tutto ciò. L'Italia, patria un tempo delle squadre più importanti e delle corse più famose, non esiste più. E’ ricordo sbiadito, invecchiato come le immagini di Coppi e Bartali e Magni e Nencini, come i visi di Gimondi, Moser, Saronni, Bugno e Chiappucci. Zero non sarà principio, ma il numero di squadre italiane che il prossimo anno saranno inserite nel circuito World Tour, la serie A del ciclismo mondiale, quella che dà la certezza alle 18 squadre che ne fanno parte di partecipare a tutte le gare più importanti del calendario. E' la prima volta che accade nella storia di questo sport. Anche la Lampre, ultimo baluardo tricolore a resistere all'erosione del nostro movimento, cambierà bandiera. Sarà cinese, come il Milan e l'Inter. Ma se nel calcio la proprietà non può cambiare in alcun modo la milanesità dei due club, nel ciclismo questa muta completamente la struttura della squadra. La licenza di corsa non sarà più italiana, la gestione neppure, gli obiettivi con ogni probabilità si sposteranno a oriente. Europea rimarrà solamente la direzione, affidata all'ex corridore svizzero Mauro Giannetti.

 


Giuseppe Saronni con il Presidente della TJ Sport (foto tratta dal sito ufficiale della Lampre-Merida)


 

L'ingresso nel ciclismo della Tj Sport Consultation, società appartenente al Tianjin Wanlong Group (gruppo attivo nel Real Estate) di proprietà di Li Zhiqiang, 302esimo uomo più ricco della Cina, è, al momento, il vertice di un crescente interesse del governo centrale cinese per questo sport. Un interesse relativamente recente, nato verso i primi anni Duemila, sostenuto dalla politica con un triplice scopo: quello di creare un movimento competitivo – soprattutto nelle discipline su pista – per poter cercare di ricavarsi uno spazio all'interno del palcoscenico mondiale; quello di cercare di promuovere lo sviluppo della bicicletta come mezzo di trasporto per cercare di ridimensionare il problema dell'inquinamento nelle grandi città; quello di favorire l'espansione delle numerose aziende di telaistica e componentistica sorte in quegli anni (soprattutto) nella municipalià di Tianjin.

 

Per questo motivo nel 2002 venne creato il Tour of Qinghai Lake, breve corsa a tappe che sin dalla prima edizione attirò numerosi ciclisti di buon livello grazie ai ricchi premi messi in palio dall'organizzazione, con lo scopo di rilanciare il movimento dopo le difficoltà di gestione del Tour of China. Quattro anni dopo venne invece introdotto anche il Tour of Hainan, altre breve corsa a tappe per velocisti (nel 2015 vinse il trevigiano Sacha Modolo), per cercare di aumentare l'interesse attorno a questo sport.

 

Queste corse, assieme all'ampio risalto dato dai media agli avvenimenti a due ruote, ha reso possibile un aumento del bacino di interessati a questo sport, dal 2002 a oggi, del 334 per cento e un incremento dei tesserati giovanili del 195 per cento. Dati importanti, ma sotto le aspettative della federazione, che proprio per questo ha avallato la creazione di un gruppo sportivo a licenza cinese.

 

L'ingresso di Pechino nel ciclismo non coincide però con la scomparsa definitiva del movimento italiano. La Lampre infatti, pur avendo perso la gestione del team (che era affidata alla CGS Cycling team di Beppe Saronni), rimarrà come secondo sponsor, garantendo la permanenza di un consistente numero di nostri corridori in rosa: Diego Ulissi, capitano della formazione e uno dei nostri migliori prospetti, ha annunciato mercoledì il rinnovo. Anche il neonato Bahrein-Merida Cycling Team, punterà forte su di un gruppo italiano attorno al capitano designato Vincenzo Nibali. A scomparire sarà però la bandierina tricolore accanto a una squadra della massima divisione ciclistica internazionale.

 


Diego Ulissi durante l'ultimo Giro d'Italia ha vinto due tappe (foto LaPresse)


 

Il vivaio azzurro infatti, pur vivendo un momento di crisi ormai decennale, ha continuato a sfornare in questi anni una serie di corridori di valore assoluto, ultimi tra i quali il giovane della Sky Gianni Moscon, il neopro della Etixx-Quick Step Davide Martinelli, l'iridato dell'inseguimento su pista Filippo Ganna, e il recente secondo classificato al Tour de l'Avenir, corsa a tappe francese per unger 23 considerata un antipasto di Tour de France, Edward Ravasi, già ingaggiato proprio dalla Lampre. A mancare è però un progetto che riesca a incanalare tutte le nostre risorse in un team competitivo a livello internazionale. Non è casuale infatti che Vincenzo Nibali, Fabio Aru ed Elia Viviani, ossia i tre nostri atleti più conosciuti, siano dovuti emigrare all'estero per avere la possibilità di gareggiare ad altissimo livello.

 

E così mentre le federazioni inglese e russa hanno trovato il modo di finanziare, attraverso anche all'impegno di capitali privati, squadre di grande spessore come la Sky e la Katusha, se Francia, Belgio, Olanda hanno finanziato indirettamente i loro team più forti tramite sponsorizzazioni delle lotterie pubbliche (Fdj, Lotto e LottoNl), Germania e Spagna hanno applicato tassazioni agevolate e incentivi alla sponsorizzazione per rilanciare i loro movimenti, l'Italia è rimasta al palo. La Federazione non ha fatto nulla per cercare di tamponare la fuga degli sponsor causata dalla crisi economica e dagli scandali doping degli anni Novanta e Duemila. Il progetto di una formazione finanziata da un mix di contributi pubblici e investimenti di sponsor privati si è arenata subito, così come quella di creare un team di serie B che potesse unire tutto il meglio del settore giovanile italiano (modello adottato con successo in Belgio, Olanda, Spagna, Germania, Russia e Polonia). E così "il grande paese del grande ciclismo", usando un'espressione di Eddy Merckx, che in Italia venne a correre con i colori della Faema e della Molteni, è passato da centro di gestione di questo sport a periferia quasi desolata. Se infatti nel 2005, anno di nascita della divisioni in divisioni di team e gare dell'UCI (Unione internazionale di ciclismo), avevamo 4 squadre in serie A e 9 in serie B, dodici stagioni dopo ci ritroviamo senza nessuna formazione nel circuito più importante e quattro in quella Continental, con i nostri migliori atleti sparsi in tutto il continente.

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