La nuova élite di Assad

Il settore privato siriano si sta trasformando rapidamente ora che il regime ha cominciato ripagare i propri debiti

Eugenio Dacrema

Con il significativo consolidamento delle sue posizioni e la riconquista di numerosi territori chiave da un anno a questa parte il regime siriano si sente decisamente più sicuro della propria sopravvivenza. I vertici a Damasco hanno quindi l’attenzione e le risorse per dedicarsi a fare un po’ di ordine in casa propria. E per ripagare qualche debito.

Ciò è avvenuto in primo luogo per l’esercito, all’interno del quale alla fine del 2016 è stato istituito il “5° Corpo”, un’intera e inedita branca dell’Esercito Arabo Siriano avente il compito di riunire al proprio interno le numerose milizie più o meno indipendenti formatesi in questi anni nei territori rimasti fedeli al regime con l’obiettivo di renderle tutte dipendenti dallo stato e non da decine di signorotti della guerra diversi. Una operazione finora dai successi limitati ma che progredisce.

E con la riconfigurazione del settore militare in atto, il regime ha recentemente aperto anche il fronte dell’economia interna e soprattutto del settore privato nazionale. Prima del 2011 il settore privato siriano aveva visto due sostanziali momenti di cambiamento. Il primo durante la politica di “apertura” (Iftitah) inaugurata dal Hafez Assad a partire dagli anni Settanta per rivitalizzare l’economia nazionale. In questo periodo, un gruppo limitato di businessmen che godevano della fiducia del dittatore (in particolare il triunvirato composto da Sa’ib Nahhas, Uthman al-A’idi e Abdulrahman al-Attar) aveva avuto il permesso di aprire le prime grandi imprese private, anche se strettamente subordinate alle attività e alle esigenze del settore pubblico.

Questo equilibrio tra pubblico (prevalente) e privato (subordinato) si protrae per circa trent’anni fino al secondo momento cruciale, rappresentato dall’ascesa al potere di Bashar al-Assad nel 2000. Le numerose liberalizzazioni messe in atto dal nuovo presidente portano l’attenzione e gli investimenti del regime a concentrarsi nello sviluppo di alcune aree urbane delimitate (in particolare Aleppo e Damasco) e a ignorare progressivamente le zone rurali, un tempo spina dorsale del Baa’thismo siriano e oggi roccaforti dell’opposizione. Il bisogno di ricostruire una élite economica a propria immagine e direttamente collegata alla sua figura porta il giovane Assad anche a sostituire gran parte dei vertici economici con una nuova generazione che trova il proprio simbolo e uomo di punta nel cugino del presidente, Rami Makhfouz. Questa nuova élite si impadronisce in pochi anni dei nuovi settori diventati prominenti grazie alle politiche di apertura economica del regime, come le telecomunicazioni, l’IT, la finanza e l’import-export. Il loro rapporto diretto col regime permette così loro di costruire un monopolio di fatto delle attività più lucrative e di potersi così espandere facilmente anche ad altri settore più tradizionali, spesso a discapito dei gruppi commerciali e imprenditoriali tradizionali, impossibilitati a competere con i volumi finanziari a disposizione di Mahlouf e del suo entourage.

La nuova élite rimane così fedele in blocco al regime durante la prima fase delle proteste e dei primi confronti armati con l’opposizione a partire dal 2011. Molti di loro accettano di buon grado la narrativa secondo la quale la crisi in Siria sarà limitata e finanziano compattamente le attività di propaganda e le grandi manifestazioni di risposta dei sostenitori del regime. La fedeltà di alcuni inizia però a vacillare con il protrarsi del conflitto e delle prime pesanti sconfitte subite dal regime. L’economia e le sanzioni cominciano a colpire pesantemente l’economia nazionale e, con essa, gli interessi di gran parte dell’élite economica. Molti in questa fase cominciano ad assumere un atteggiamento di cauta attesa. Alcuni si trasferiscono con le famiglie all’estero, soprattutto a Dubai, a Beirut o in Turchia. Anche se pochissimi sostengono apertamente l’opposizione (i cui finanziamenti privati arrivano soprattutto da siriani con proprietà e interessi prevalentemente fuori dalla Siria) la maggior parte cerca di tenersi aperte tutte le opzioni. È naturalmente un atteggiamento che viene poco apprezzato dal regime e dai businessmen rimastigli fedeli, molti dei quali hanno investito direttamente grosse somme nello sforzo bellico di Assad e nella formazione di milizie pro-regime direttamente ai loro ordini. Un atteggiamento che prima o poi dovrà essere punito.

Ma se il conflitto ha prodotto crepe in quello che un tempo era una solida e compatta élite economica, dall’altra parte ha creato una nuova economia di guerra con nuovi settori lucrativi a disposizione di personaggi intraprendenti (e senza scrupoli). In primo luogo, i lunghi assedi che hanno caratterizzato il conflitto (come quello del sobborgo damasceno di Ghouta ininterrotto dal 2012) hanno arricchito enormemente i mediatori rimasti in grado di commerciale tra i territori del regime e le aree assediate. È questo per esempio il caso di alcune figure come quella di Mohieddine Monfoush (la cui storia è stata raccontata dall’Economist) che da piccolo produttore caseario è diventato uno dei più grandi produttori e venditori di prodotti alimentari nell’area di Damasco. È il caso delle numerose reti di contrabbando messe in piedi spesso direttamente da figure legate alle forze di sicurezza del regime per l’importazione di beni (soprattutto quelli sotto sanzioni), armi e droghe che hanno permesso a questi ufficiali di costruire un significativo potere economico affiancato a al loro ruolo all’interno degli apparati dello stato. È infine il caso dei numerosi “mediatori” di transazioni finanziarie che grazie alla capacità di aggirare le sanzioni riescono a farsi pagare ingenti somme per i loro servizi da una popolazione diventata sempre più indipendente dalle rimesse dall’estero.

Come accaduto per il settore militare – che ha visto, da una parte, la defezione di una fetta dell’esercito regolare e, dall’altra, la formazione di nuove milizie ausiliarie e informali – anche nel settore economico alla parziale defezione di alcune figure dell’élite pre-conflitto si sono progressivamente sostituiti nuovi centri di potere economico emersi grazie alla nuova economia di guerra. Nuovi equilibri diventati in parte irreversibili e che il regime, come ha fatto con l’esercito, sta cercando ora di riordinare.

Il riordino, parziale, è iniziato all’inizio del 2016 con l’approvazione della nuova legge sul rapporto tra imprese private e settore pubblico. La nuova legge prevede infatti la possibilità per i privati di avere un ruolo di primo piano in tutte le più importanti attività e investimenti pubblici istituendo partnership pubblico-privato estremamente favorevoli ai privati i quali potranno anche ottenere la gestione dell’erogazione di interi servizi per decenni. È una legge senza precedenti per l’economia statalista siriana. Da una parte, come sostenuto dai suoi propugnatori, essa permetterà certamente di ottenere fondi per la ricostruzione dal settore privato, mentre dall’altra certamente essa rappresenta un corridoio legislativo diretto per ripagare i principali sostenitori del regime con nuove lucrative posizioni di monopolio all’interno dei servizi dello stato.

Più recentemente, invece, il riordino è arrivato in una forma coercitiva dallo stile assai più arcaico. Negli ultimi mesi alcuni businessman “traditori” sono infatti stati costretti a vendere i propri asset ad esponenti dell’élite emergente (e molto più fedele). È questo il caso, per esempio, di Imad Ghreiwati, che da piccolo produttore di cavi durante gli anni Duemila si era notevolmente arricchito ottenendo licenze esclusive di importazione per case automobilistiche come Ford Motors e Kia. Ghreiwati aveva perfino preso parte alla fondazione di Cham Holding, la principale holding di Rami Makhfouz e di Bank al-Shark, una delle poche istituzioni finanziarie private ammesse nel mercato siriano. La sua vicinanza al regime aveva avuto anche risvolti politici, con la sua elezione a presidente della Camera dell’Industria di Damasco.

Ghreiwati non aveva però seguito molti dei suoi colleghi nel sostenere con ingenti sforzi il regime dopo lo scoppio della rivolta. Pur senza prendere in nessun modo le parti dell’opposizione, si era trasferito a Dubai da dove aveva continuato ad amministrare i suoi asset in Siria. Alcuni mesi fa uno dei suoi stabilimenti fuori Damasco è stato però occupato da uomini armati agli ordini di Mohammed Hamsho, un altro membro dell’élite economica del regime vicino al fratello del presidente, Maher al-Assad. Dopo mesi di trattative che avrebbero visto anche l’intervento diretto del presidente, Ghreiwati avrebbe accettato di vendere i suoi asset in Siria a Samer Foz, forse la principale figura economica emergente negli ultimi anni, piccolo uomo d’affati di Lattakia cresciuto enormemente in ricchezza e potere politico durante il conflitto grazie al suo appoggio al regime e al controllo di gruppi armati nella regione della costa.

Lo stesso Foz avrebbe recentemente ottenuto, sempre grazie alle pressioni del regime, di poter acquistare l’Orient Club di Damasco, il centro della vita mondana degli ambienti legati al regime e un tempo proprietà di Mouaffaq al-Gaddah, un altro businessman caduto in disgrazia.

La carta economica della Siria sta cambiando, dunque, e non solo per effetto diretto delle distruzioni portate dal conflitto. Queste profonde trasformazioni avranno effetti enormi sulla fase di ricostruzione e determineranno gli equilibri anche politici della Siria di domani. Trasformazioni che stanno rapidamente accelerando, ora che il regime ha iniziato a ripagare i propri debiti.

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