Porci con le ali

Giulio Meotti

Minacce alle donne, soldi dall’estero, femministe e fighetti di sinistra con lui. Perché il caso Ramadan è unico nel delirio degli abusi sessuali

Il 4 agosto 1995, Said Ramadan muore a 69 anni in un ospedale a Ginevra. Né la stampa svizzera né quella internazionale dedicarono una riga alla sua scomparsa. Said era il genero di Hassan al Banna, il fondatore dei Fratelli musulmani, di cui aveva sposato la figlia Wafa. Ma soprattutto, Ramadan era stato l’ispiratore dell’islam politico in Europa. Dottore in Giurisprudenza all’Università di Colonia con una tesi sulla sharia, Said era stato incaricato dai sauditi di islamizzare il Vecchio continente e “di combattere il materialismo ateo in tutte le sue forme”. Così nel 1961 aveva fondato il Centro islamico di Ginevra, il primo luogo di incontro dei Fratelli musulmani in occidente. Ne seguiranno altri, da Monaco a Londra.

 

I petrodollari avevano irrorato l’attività di Ramadan: l’Arabia Saudita gli dava 12 mila franchi svizzeri al mese, usati in parte per finanziare la rivista Al Muslim; il Qatar gli offrì una splendida villa e la Giordania lo scelse per rappresentarla alle Nazioni Unite. Said sviluppò la passione per le grandi auto, era un bell’uomo, alto, la barba finemente tagliata, sensibile al gentil sesso. Intanto predicava contro l’“ebraismo mondiale”, le “potenze coloniali” e i “sostenitori del lassismo morale”. Poi, nel 1966, tutto crollò intorno a Ramadan. Una caduta improvvisa legata a una vita privata troppo frenetica? Adesso in disgrazia è finito il figlio Tariq, il prediletto della famiglia. “Se uno pensava che fosse doloroso e impegnativo per le donne accusare Harvey Weinstein di stupro e molestie, immaginiamo l’accusa al teologo islamico Tariq Ramadan”. Così sul New York Times scriveva lunedì l’ex direttrice del Monde, Sylvie Kauffman. Di tutti gli accusati di violenza sessuale nel delirio isterico e pansessualista di queste settimane, il celebre islamologo svizzero con milioni di follower, trenta libri all’attivo, cattedre e consulenze governative, icona delle ragazze musulmane che indossano il chador su uno sfondo di trucco, gode di una presunzione di innocenza che il regista Fausto Brizzi, il produttore Weinstein o l’attore Kevin Spacey neppure si sognano. Complice il doppio standard, le minacce, i silenzi, le connivenze e una famiglia potentissima.

 

Due ragazze francesi avevano deciso il mese scorso di citare in giudizio Ramadan per stupro e abusi sessuali. Le prime di una lunga lista. Una delle donne, Henda Ayari, è diventata un volto pubblico. La seconda è rimasta nell’ombra. Si è capito perché: Ayari è da settimane subissata di minacce di morte, soprattutto da parte degli estremisti musulmani. Ramadan nega le accuse di violenza sessuale e ha sporto denuncia contro le donne. Parte del caso contro Ramadan si sta costruendo ora in Svizzera, dove è accusato di aver sottomesso altre quattro ragazze, tre minorenni, nel periodo in cui era il loro insegnante. All’epoca, Ramadan era il giovane e promettente figlio di immigrati nella Ginevra internazionale e multiculturale. Ma il caso Ramadan è unico non tanto per le accuse in sé, tutte da provare in tribunale, ma per quello che ha messo in moto.

 

E’ l’unico caso uscito dal campo delle accuse sessuali per diventare politico, religioso e ideologico. Sono già ventimila le firme raccolte a favore dell’islamologo svizzero. “Sentiamo il dovere di sostenere pubblicamente Ramadan, in nome di una causa che trascende la sua persona”, recita l’appello. Sì, abbiamo letto bene.

 

Nessun altro accusato di violenze sessuale viene oggi difeso a colpi di appelli. Gli altri sono già finiti tutti in disgrazia e alla gogna. Sul settimanale Le Point, Kamel Daoud ha sintetizzato così la risposta del mondo arabo-islamico all’affare Ramadan: “Silenzio, disagio, imbarazzo e teorie della cospirazione in massa”. Mentre i leader dell’islam in Francia non sanno che dire, alcuni imam, come Abdelmonaïm Boussenna, predicatore di Roubaix, stanno da giorni facendo campagna a favore di Tariq. Di fronte ai fedeli della moschea Arrahma, Boussenna ha pronunciato un sermone del venerdì contro la “calunnia” inflitta a Ramadan. Sui social, il video è già stato visto da 190 mila persone su Facebook. “Se i fatti sono veri, sarà un terremoto”, osserva intervistato dal Monde il sociologo e intellettuale musulmano Omero Marongiu-Perria. Ma intanto meglio tenere bassa l’attenzione. Marongiu-Perria dice che il discorso islamico che circonda questa vicenda “non rende più facile per le donne parlare”. Si impone la retorica della “minaccia escatologica”, ha detto Marrongiu-Perria, la logica dell’“omertà”. Sull’Huffington Post, Davide Piccardo, brillante leader dei giovani musulmani italiani, ha scritto un panegirico a difesa di Ramadan: “Metterei la mano sul fuoco cento volte sull’innocenza di Tariq Ramadan, non ho bisogno di credere alla sua parola, non ho bisogno di attendere la verità giudiziaria, Tariq ha una credibilità che ha costruito in anni di lavoro e di impegno, una credibilità che è patrimonio di tutti coloro con cui ha collaborato, tutti coloro a cui ha insegnato, una fiducia guadagnata con il suo comportamento ineccepibile, l’educazione, la moderazione, l’umiltà, l’onestà intellettuale e quella spirituale” ha scritto Piccardo. Una dichiarazione simile a quella che avevano dato i professori di Oxford, come Eugene Rogan, collega di Ramadan, prima che l’ateneo lo sospendesse in attesa che la giustizia faccia il suo corso. “Musulmano insigne”, così Rogan aveva definito Ramadan, stabilendo che potesse continuare a insegnare per due settimane dopo le prime accuse. Ieri il Monde ha raccontato “il silenzio assordante del Regno Unito” su Ramadan, che “si spiega ampiamente con lo status onorevole di cui gode nel Regno Unito”. Tariq è l’unico la cui identità etnica e religiosa è evocata a propria tutela, l’unico accusato che gode del sostegno di giornali, intellettuali, organizzazioni, regimi stranieri. Sul quotidiano svizzero Les Temps, Pierre-André Taguieff, politico e accademico francese, dice che il caso Ramadan dimostra quanto “parte della sinistra europea è intrappolata nel comunitarismo islamico. E’ in nome delle aspirazioni dei loro elettori musulmani che i sindaci hanno invitato Tariq Ramadan, che gli hanno offerto un piedistallo. C’è questa tendenza a considerare l’Islam come la religione dei poveri”.

 

Sul Monde, anche il filosofo Abdennour Bidar, islamologo che lavora per France Culture, ha accusato le élite di aver creato “maghi” come Ramadan: “La nostra pigrizia e la nostra cecità hanno fabbricato questo suonatore di flauto che ha portato parte della gioventù musulmana nell’abisso di un neorigorismo travestito da islam morbido”, ha scritto Bidar. Comitati di sostegno a Ramadan sono già in fase di allestimento in Svizzera, dove ha la sua base la famiglia Ramadan. Per la Lega dei musulmani della Svizzera, quella condotta contro Tariq è una “campagna calunniosa”. L’organizzazione invita a costituire “un collettivo di donne e di uomini liberi per sostenere il professore”. A favore del teologo si schiera Nadia Karmous, a capo dell’Associazione delle donne musulmane in Svizzera. “Tariq Ramadan è una persona affidabile e premurosa”, dichiara la donna all’Express. E ancora: “Se non fosse stato un musulmano, sono sicuro che avrebbe già vinto il premio Nobel per la Pace”.

 

Come fa Ramadan a permettersi la difesa di Marc Bonnant, il più rinomato penalista di Ginevra? Le Point ha scritto che ci sarebbe il Qatar dietro, considerando che Bonnant è anche il legale di Nasser al Khelaïfi, il presidente qatariota del Paris Saint-Germain. Al Point, un alto funzionario di Doha rivela l’aiuto poi che “grandi famiglie del Qatar” starebbero offrendo a Ramadan. E’ noto che il Qatar abbia finanziato il centro studi sull’islam di Oxford in cui insegna Ramadan.

 

Intanto, centotrenta personalità della cultura francese hanno appena firmato un manifesto a sostegno di Mediapart, il sito del collaboratore di Ramadan, Edwy Plenel, dopo che Charlie Hebdo, minacciata di morte per una vignetta su Ramadan, e l’ex primo ministro Manuel Valls avevano criticato il giornale online per aver protetto Ramadan. Il direttore di Charlie Hebdo, Riss, ha scritto un editoriale in cui accusa Plenel di “condannare a morte una seconda volta Charlie Hebdo”. Plenel la settimana prima, a Franceinfo, aveva detto che “Charlie Hebdo fa parte di una guerra contro i musulmani”.

 

L’ex premier Manuel Valls ha anche criticato il conduttore televisivo Frédéric Taddéï, che ha spesso invitato in tv Ramadan, assieme al politologo Pascal Boniface, che ebbe a definire “intellettuali falsari” coloro, come Caroline Fourest e altri, che avevano dedicato tempo ed energie a smascherare la lingua biforcuta di Ramadan in libri come “Frère Tariq”. E poi ancora Alain Gresh, direttore del Monde Diplomatique, rivista di prestigio della sinistra terzomondista, che aveva dato una rubrica a Ramadan. “Sembra che ci troviamo di fronte a una campagna politica, che lungi dal difendere la causa delle donne, impone nel nostro paese un ordine del giorno deleterio fatta di odio e di paura”, dicono i 130, fra cui l’economista Thomas Piketty e la madrina del neofemminismo Caroline De Haas. Plenel, ex direttore del Monde e attuale patrono di Mediapart, il giornale online lanciato nel 2008 con alcuni ex militanti di estrema sinistra, ha definito Ramadan “un intellettuale rispettabile” e tenuto conferenze assieme a lui dopo la strage a Charlie Hebdo.

 

Anche Edgar Morin, celebre filosofo francese che ha scritto diversi libri con l’islamista svizzero, parlando al Monde dichiara: “Sono uno di quelli che aspetta chiarimenti della giustizia. E Tariq Ramadan ha espresso oralmente e per iscritto la sua idea di un islam europeo che accetta la democrazia, la libertà delle donne e anche l’apostasia”. Ramadan a favore della democrazia, della libertà delle donne e del diritto all’apostasia? A favore di Ramadan si schiera un altro intellettuale, lo svizzero François Burgat, uno specialista dell’islam, il quale nei giorni scorsi ha detto di “essere estremamente orgoglioso di averlo seguito”. Così, più tempo passa, più il centro del dibattito si sta spostando dalle accuse di violenza sessuale rivolte a Ramadan alla questione dell’“islamofobia”. Centinaia di migliaia di persone in Europa e milioni nel mondo arabo non sono disposte semplicemente ad accettare che Ramadan possa essere giudicato e riconosciuto colpevole di fronte alla giustizia democratica, occidentale e laica. Guai a toccare il predicatore dei predicatori musulmani europei. E’ questo che è in gioco nel caso Ramadan: assisteremo al trionfo dei salafiti insieme al silenzio di piombo che calerà sulle donne musulmane che mai più avranno il coraggio di denunciare un aggressore musulmano? Intanto, la famiglia Ramadan esercita tutta la sua influenza. Quando Saïd Ramadan morì nel 1995, il Consiglio di amministrazione della moschea incluse solo membri della famiglia e così è ancora oggi: Wafa, la madre, figlia di Hassan al Banna, e i suoi figli, Hani, Arwa (l’unica ragazza) e Tariq. Il presidente è Aymen, il figlio maggiore, chirurgo nella città di Calvino, in contatto diretto con i ricchi contribuenti del Golfo. Wafa, la mamma, non parla mai. A Hani Ramadan è stato vietato di vivere in Francia dall’aprile 2017. A Ginevra non può più insegnare dopo la pubblicazione, nel 2002, de “La Charia incomprise”, in cui Hani ha giustificato la lapidazione delle donne. Nel giugno 2016, invitato in un college di Ginevra, Hani, sposato e padre di tre ragazze velate fin dalla tenera età, ha paragonato una donna senza velo a “una moneta da due euro”. Come il loro presunto stupratore, anche le accusatrici di Ramadan erano delle devote praticanti. Agli occhi degli insegnamenti islamici, per il solo fatto di essere rimaste sole con lui queste donne avrebbero violato le regole islamiche della “modestia”. Così il fratello di Ramadan, Hani, in un sermone a Ginevra la settimana scorsa ha messo un guardia le accusatrici di Tariq. “Chiunque diffami accusando un individuo innocente di aver fornicato e che non sia sostenuto da quattro testimoni che abbiano visto chiaramente la cosa, si espone a una terribile punizione”. Capito? Acqua in bocca.

 

Se Tariq Ramadan fosse giudicato secondo la sharia ne uscirebbe quasi di sicuro innocente, perché la parola delle sue accusatrici vale la metà della sua. Ma se fosse riconosciuto colpevole, deve ringraziare di dover rispondere alla giustizia francese. Non sarà lapidato.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.