foto di Joi Ito via Flickr

Il sessismo torna in Silicon Valley e il cortocircuito con Hollywood è ormai palese

Michele Masneri

Dopo Uber tocca a Tesla. Ma i processi si fanno di più sulla stampa

Roma. La questione sessismo arriva, anzi ritorna, in Silicon Valley: e colpisce una delle aziende più immaginifiche, Tesla. Il sito Recode ha riferito che uno dei più importanti capitalisti di ventura della Valle, Steve Jurvetson, ha lasciato il consiglio di amministrazione dell’azienda automobilistica dopo le voci di sue presunte molestie. Jurvetson è oggetto di un’indagine interna della sua società finanziaria, Draper Fisher Jurvetson, che lo ha sospeso per le accuse abbastanza vaghe di una imprenditrice sul “comportamento predatorio rampante” nel settore del venture capital. Il finanziere è stato subito sospeso anche dal cda di Tesla e di SpaceX, le due aziende di Elon Musk, una che produce auto e l’altra che progetta viaggi spaziali.

 

E’ il secondo caso a coinvolgere un’azienda “pesante” di Silicon Valley: il primo era stato quello del ceo di Uber, Travis Kalanick, che ha dato le sue dimissioni nei mesi scorsi dopo le accuse di una sua dipendente, Susan Fowler. A febbraio la dipendente ventiseienne aveva pubblicato un post sul suo blog intitolato “Riflessioni su un’annata molto, molto strana a Uber” dove si raccontava di molestie da parte di un superiore, regolarmente denunciate alle risorse umane, ma con la conseguenza che Fowler era stata spostata di ufficio, e tutto insabbiato. Adesso Kalanick è stato rimosso, mentre sul caso Uber si sta preparando un film. E il cortocircuito con Hollywood pare sempre più evidente; la tangentopoli sessuale californiana è infatti scoppiata prima a San Francisco col caso Fowler, e solo in ottobre si è spostata a sud a Los Angeles. Il fatto è che oggi i soldi veri si trovano a nord; Netflix, la paladina della nuova moralità, quella che ha sospeso Kevin Spacey da House of Cards, da sola investe 6 miliardi di dollari in nuove produzioni, mentre il 2017 è anche l’anno in cui le sale cinematografiche hanno incassato meno nella storia del cinema, 10 miliardi. Dieci miliardi vale anche la Paramount, lo stesso esatto valore di vent’anni fa, mentre Netflix ne fattura 60. Il 2017 sarà ricordato infatti non solo come l’anno dei due Oscar ad Amazon, mentre agli Emmy Netflix si è portata a casa 20 premi. Insomma, Hollywood è chiaramente in affanno e il potere vero si trova ormai a nord. E’ un potere ancora più maschile: in Silicon Valley non ci saranno i divani dei produttori ma il 99 per cento dei laureati in informatica sono maschi, e la valle è una grande caserma. Per dire: il giovedì sera al Rosewood Hotel di Sand Hill, un lussuoso compound tra Palo Alto e Menlo Park e le sedi di Facebook e Google, si teneva fino a poco fa una famosa “milf night” dove i neo miliardari imbranati potevano invitare a cena signore più o meno agées e più o meno prezzolate; ci siamo stati, l’hanno da poco sospesa, ma c’erano ancora alcune dame sedute su sgabelli in attesa di principi azzurri dell’algoritmo. Ci sono poi agenzie matrimoniali specializzate nell’incrociare la domanda con l’offerta peculiari della valle, come la Lynx Dating che fa capo alla signora Amy Andersen, che a Menlo Park organizza matrimoni con lo slogan “no app, no algoritmi, solo intuizione”.

 

C’è probabilmente anche un genius loci: con la corsa all’oro di metà Ottocento, in Alta California arrivarono giovanotti nerboruti in cerca di fortuna da tutto il mondo: il rapporto era di 200 maschi per ogni signora (e durò a lungo). Vennero importate prostitute da tutto il mondo, per ristabilire le quote. Ma a parte l’antropologia, rimane il problema numerico particolarmente evidente nella comunità del venture capital, quella coi soldi veri che finanzia startup e aziende, ed è in cima alla catena alimentare siliconvallica. Ancora per la stragrande maggioranza composta di maschi, oltre ad essere un ambiente molto chiuso, in cui si conoscono tutti. “Sessismo da noi no, per niente, non abbiamo tempo per queste cose” ci aveva detto quest’estate Cyan Banister, una delle rare finanziere donne, che lavora nel Founders Fund, uno dei più fondi più importanti, posseduto da Peter Thiel. Però i casi si stanno moltiplicando: a giugno il sito The Information ha sollevato il caso del finanziere Justin Caldbeck del fondo Binary Capital, accusato di molestie. L’uomo si è dimesso, e il fondo è fallito. A luglio si è dimesso Dave McClure, ceo di 500 Startups, altro fondo molto importante. I processi però continuano a farsi soprattutto sulla stampa: le cause in tribunale sono poche, anche perché le aziende inseriscono nei contratti di lavoro clausole che impongono l’arbitrato. Fowler, la dipendente di Uber, ha fatto ricorso alla Corte suprema. Ma finora solo una causa è arrivata in tribunale: nel 2015, una dipendente ha sfidato il fondo Kleiner Perkins Caufield & Byers; ma ha perso.

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