Il regista Fausto Brizzi (foto LaPresse)

Sesso e arena. Il format unico della nuova Santa Inquisizione

Salvatore Merlo

Impiccalo più in alto. La violenza del sessuomane somiglia a quella di chi lo vuole appendere per i piedi. Il caso Brizzi ma non solo. Storia di un metodo cronistico che trasforma ogni accusa in un’occasione di linciaggio

Ci sono le perversioni e le molestie sessuali, ma c’è anche l’ossessione pubblica e social, c’è la malattia, il racconto di un disturbo aggressivo della sessualità, ma c’è anche la caccia alle streghe, l’eccesso, la violenza alla rovescia, la mutazione dell’inchiesta giornalistica in uno spettacolo sangue e arena, la tentazione del linciaggio televisivo e del processo sommario in diretta Twitter: impiccalo più in alto, come nel film con Clint Eastwood. “C’è un metodo sballato, e una deriva del giornalismo televisivo. Che non può essere spettacolo, circo e aula di giustizia insieme”, dice Aldo Grasso, il critico televisivo d’Italia. “Di questo rimescolìo di generi alla fine resta solo l’indignazione, il moralismo, una specie di sbornia da guaritori della società”.

 

Dieci donne raccontano di essere state molestate dal regista Fausto Brizzi, e vanno prese sul serio. Tremendamente sul serio. Ma nel caotico imbuto italiano, in un clima sempre iperbolico e dal ritmo sempre accelerato, dopo settimane di accuse senza un accusato, allusioni centellinate in televisione, dopo giorni di nomi sussurrati, ecco la calunnia anonima diventare una valanga pubblica. Non una denuncia di sistema, ma l’individuazione di un colpevole da giustiziare emotivamente e sommariamente. E così “a delle molestie sessuali si risponde con delle vere molestie giornalistiche”, dice Grasso. Ed ecco la gogna che suona sempre come uno spasmo bilioso e come un ordine al plotone di esecuzione. Un’ossessione che raccolta in rete produce reazioni intemerate di dileggio e persino di minaccia.

 

“Io non so cosa abbia fatto Brizzi. Magari ha fatto delle cose turpi”, spiega il critico del Corriere della Sera. “Però, come dire, un conto è se la sua vita viene rovinata dalla magistratura, un altro paio di maniche è se viene rovinata dalle ‘Iene’ di Italia Uno. Entri in una spirale così, in un format televisivo fatto così, e non ne esci mai più… Mi viene un brivido alla schiena”. Ed è il metodo che non funziona, pensa Grasso. Anche l’inquisizione spagnola metteva a morte e bruciava vivi. Talvolta metteva al rogo persino dei colpevoli. Ma se nel meccanismo della gogna televisiva, nell’inquisizione rapida ci finisce un innocente, che succede? E quando le cose sono meno semplici, più complesse di come possano sembrare, come si fa? Asia Argento, per esempio, è un tipo risoluto e sicuro di sé, almeno su Twitter. Non ha dubbi. Accusa Brizzi, gli dice che “non ci fai paura”, “querelaci tutte”. Poi però, uscita dal social, quando viene intervistata da Federico Pontiggia, sul Fatto, risponde così: “Brizzi? Non l’ho mai conosciuto, quindi non ne posso parlare, ciao”. Ma come?

 

E però leggendo lei, e le centinaia di altri commenti sui social, si capisce che il regista, che sarà anche un molestatore seriale, un bavoso, è già arrivato di fronte alla Cassazione di Facebook. E non ha scampo. Ecco dunque la tammurriata dei giudizi lombrosiani, scagliati con anonima spensieratezza su Twitter, uno per tutti: “Avete notato che sia Weinstein sia Fausto Brizzi hanno l’occhio sinistro identico? Stralunato, tipo di fuori, fissato, come psicopatico?”. Finisce che la violenza del sessuomane assomiglia a quella di chi lo vuole appendere per i piedi. E tutto rende l’idea del clima fuori misura in cui viviamo.

 

Si poteva non raccontare la storia? “No, ma c’è un problema nel modo di raccontare”, risponde Grasso. “Le Iene hanno avuto tanti meriti, e hanno fatto tante cose interessanti, anche se si sono abbandonati a delle stupidaggini pazzesche, in passato, come Stamina. Ma in questa storia di Brizzi, per come è stata costruita, prima con le denunce anonime contro un anonimo, poi con la spirale delle speculazioni sul nome, la studiata posologia con la quale le rivelazioni sono state distribuite, in quel contesto strambo che spettacolarizza l’indignazione, ecco tutto questo rivela che c’è qualcosa che non va. C’è un mix terribile, tra un balletto e una barzelletta”. In America ci sono il Newyorker e Angelina Jolie, noi abbiamo “Le Iene” e Asia Argento? “Detta così fa sorridere. Ma siamo sicuri che questo sia il lavoro dei giornalisti, che questo significhi informare?”, si chiede Grasso. “Non so. Può darsi che invece sia la deriva del giornalismo, una professione che per sopravvivere deve fare queste cose qui. Certo, è possibile che in passato il giornalismo, anche quello serio, abbia fatto enormi porcate. Però prima era tutto un po’ più riparabile. I tempi erano come dilatati. Adesso una volta che hai squarciato il velo non ne esci più: internet, social network…”. L’annichilimento morale e psicologico, immediato. Impiccalo più in alto. Ma fai veloce, ché poi c’è il balletto di Ilary Blasi con Teo Mammucari vestito da Zorro.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.